LEOPOLDO III E LA CAPITOLAZIONE DEL BELGIO: INGIUSTE CALUNNIE A UN OTTIMO SOVRANO

Il 28 Maggio 1940 il Belgio capitola innanzi alla Germania. Gli astiosi alleati anglo-francesi ne incolpano Leopoldo III, empiendolo di vituperi. In realtà il Re dei Belgi fu un Sovrano eroico che cercò di agire nel migliore dei modi per difendere il suo popolo e il suo Paese. Scopriamolo in un articolo di Vittorio Vetrano. 


1. Dalla nascita allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale

Leopoldo III di Sassonia Coburgo-Gotha, Re dei Belgi dal 1934 al 1951, nacque il 3 Novembre 1901 a Brusselle, figlio del Re Alberto I. Sin da quando suo padre divenne Re, nel 1909, il piccolo Leopoldo iniziò a presenziare all’attività pubblica dell’augusto genitore. Si appassionò giovanissimo alla cultura e ai viaggi e fu ottimo allievo ad Eton, in Inghilterra, e in seguito alla Scuola Militare di Brusselle, dove fu istruito, tra gli altri, dal celebre matematico Cesaro. Allo scoppio della Grande Guerra, nonostante gli appena 13 anni di età, egli, spirito indomito ed ardito, accorse subito volontario alla pugna divenendo un vero eroe, ammirato ed amato da tutta la popolazione, dimostrando un coraggio non comune nei combattimenti in prima linea, in forza al 12º Battaglione di fanteria di linea. 

Dopo la Vittoria, si iscrisse all’Università americana di St. Anthony Seminary, con sede a Santa Barbara, in California. Tornato in Belgio sposò nel 1926 Astrid di Svezia, che gli diede tre figli e sarebbe morta in un tragico incidente stradale nell’agosto del 1935. 

Fu negli anni ’20 introdotto ai problemi economici e della politica internazionale dai Ministri Theunis e Jaspar e viaggiò a lungo negli Stati Uniti, in Brasile, in Egitto, in Sudan, nel Congo Belga, nelle Indie Olandesi e in Indocina, tutti luoghi dove acquisì una notevole esperienza geopolitica. 

Leopoldo ascese al trono nel 1934, in seguito alla morte del padre, causata da un incidente alpinistico. Nei primi anni di regno, Leopoldo III si interessò con successo di problemi coloniali, economici e sociali e cercò di dare impulso specialmente all’attività scientifica e alla difesa militare, paventando una ripresa delle ostilità tra le principali nazioni europee. 



Assai ostile al Governo Francese, dominato a quel tempo dai fanatici del Fronte Popolare, fu concorde in particolare coi conservatori fiamminghi, nell’adottare sin dal 1936 una politica di netta neutralità, non considerando gli ex Alleati della Grande Guerra come Nazioni particolarmente affidabili, sospendendo tra l’altro qualsiasi collaborazione tra gli eserciti francese e belga. Mentre la situazione internazionale precipitava, il Sovrano, il 28 Agosto 1939, lesse alla Conferenza di Brusselle, un appello per la soluzione pacifica dei contrasti, invocando una nuova Monaco. 

Il 4 Settembre egli assunse il comando delle Forze Armate, mentre il 7 fece un ultimo tentativo di mediazione, assieme alla Regina Guglielmina dei Paesi Bassi tra Hitler, Giorgio VI e Lebrun. Tuttavia a nulla valsero tali sforzi e le potenze demoplutocratiche dichiararono guerra alla Germania. Il Belgio si trovò così ancora una volta tra due fuochi e il 10 Maggio del 1940 le truppe tedesche e quelle anglo-francesi erano ancora una volta sul suo suolo. 


2. La Seconda Guerra Mondiale e la questione della capitolazione

La Germania puntava ovviamente alla Francia e il Governo belga presieduto da Pierlot era nettamente schierato con le potenze demoplutocratiche. Queste ultime, dal canto loro, facevano un grosso assegnamento sulla non trascurabile potenza dell’esercito Belga. Tutta la strategia di Weygand e di Lord Gort, i due capi militari francese e britannico, si imperniava sostanzialmente nel guadagnare tempo attraverso il sacrificio di sangue belga. L’Esercito Belga era infatti schierato con ben 650.000 uomini lungo le Ardenne, che con i 200.000 uomini di riserva salivano a 850.000 militari, un numero enorme considerando gli appena 8 milioni di abitanti del Belgio. 

Leopoldo III sin dall’inizio ritenne fortemente ingiusta una strategia che di fatto faceva del Belgio una specie di agnello sacrificale, con l’unico scopo di permettere alla Francia di riorganizzarsi e all’Inghilterra di serrarsi ben stretta nelle sue isole. Del resto allo stesso scopo erano servite Polonia, Finlandia, Norvegia e Olanda. Ciò nonostante, Leopoldo III e il suo Esercito diedero prova di eroico valore in quei 18 giorni di combattimento. Ma a tutto c’era un limite e Leopoldo III si rese conto che in questo modo le demoplutocrazie stavano facendo del Belgio un cimitero. 

Già il 25 maggio, Leopoldo III inviava a Giorgio VI d’Inghilterra un telegramma in cui lo avvertiva che le truppe belghe stavano per capitolare. Iniziarono così duri contrasti tra l’ardito Sovrano e il demomassone Pierlot, il quale ebbe l’impudenza di minacciare il Sovrano di non intromettersi, accampando ragioni e cavilli costituzionali (com’è noto, la Costituzione Belga non ha mai attribuito un grande potere decisionale al Sovrano). Ma Leopoldo III, di fronte alla tragedia del suo popolo e alle mene di Pierlot, non aveva dubbi: “Qualsiasi cosa succeda, io devo seguire il destino delle mie truppe”.


 

Tutti gli intrighi che Pierlot voleva tessere per far sì che Leopoldo III seguisse l’esempio della Regina Guglielmina dei Paesi Bassi, che era ignominosamente fuggita a Londra, furono distrutti da quella sola frase. Ormai Leopoldo III aveva intuito il tradimento spirituale dei suoi ministri, che ormai parlavano ed agivano da emissari anglo-francesi. Il 28 Maggio Leopoldo III capitolò e alle 5,15 il fuoco cessava su tutto il fronte di battaglia. Hitler accettò subito la resa, purché fosse senza condizioni. In seguito alla risposta affermativa del Sovrano, Hitler decretò immediatamente che fossero tributati tutti gli onori a un nemico eroico e leale e si occupò subito della protezione dei profughi belgi, che furono convogliati lontano dalle possibili ritorsioni dell’aviazione britannica. 

Le truppe tedesche rifornirono gli abitanti di viveri e in Belgio si poté di nuovo vivere un poco in pace. Ricordiamo che pochi giorni prima i britannici, sollecitati da Re Leopoldo III al soccorso dei profughi, avevano risposto che le esigenze militari non avrebbero permesso al momento di occuparsi della popolazione civile. 

Una profonda emozione suscitò nei soldati Belgi il riconoscimento del loro valore da parte del nemico, ciò che non avvenne invece da parte dei presunti alleati. Questi ultimi infatti iniziarono subito con le loro accuse e i loro vituperi, nel più classico modo di fare dei regimi liberaldemocratici. 

Alla firma della capitolazione Leopoldo III disse: “Ho la coscienza di compiere il mio dovere di Re verso il mio popolo”. Quindi presentò la sciabola all’ufficiale tedesco, il quale, salutandolo militarmente, disse: "Il Führer ha ordinato che a Vostra Maestà e a tutti gli ufficiali belgi sia lasciata la spada quale omaggio dell’Esercito Germanico ad un nemico eroico.” 

Nel frattempo l’odio anglo-francese si scatenava contro i profughi belgi presenti al di là della Somme, che furono sottoposti a disagi di ogni genere, accusati di costituire una presunta “quinta colonna”. Anche l’odio dei Pierlot, degli Spaak e degli altri Ministri antinazionali non si fece attendere e presto fu costituito un governo fantoccio belga a Londra, dove presto si sarebbe costituito anche un altro governo fantoccio, quello di De Gaulle. 

Con i suoi cavilli costituzionali, Pierlot dichiarò che col suo comportamento Leopoldo III era caduto nell’impossibilité à régner e pertanto le sue azioni erano nulle. Ma del parere di Pierlot gran parte dei Belgi si disinteressò. 

Anche Churchill e Reynaud tuonarono contro Leopoldo III, il quale tirò diritto per la sua strada di onore e di amore per il proprio popolo, dimostrando che il Popolo Belga obbedisce al suo Re e non ai vari Pierlot di turno. Tutte le recriminazioni anglo-francesi dimostrarono ampiamente, come disse Appelius, “l’egoismo dell’Inghilterra e la megalomania della Francia, per le quali i Sovrani, i Governi e i Popoli stranieri hanno un valore proporzionato al grado di utilità e servizi che possono rendere al popolo inglese e al popolo francese.” 

La sconfitta militare degli Alleati divenne in questo senso nettamente politica: da quel momento in avanti i paesi neutrali si resero infatti conto dell’inutilità di sacrificarsi per la Francia e per l’Inghilterra, le quali si erano dimostrate altrettanto egoiste che militarmente impotenti. Se non fossero infatti in seguito intervenuti Stati Uniti e Unione Sovietica a ribaltare la situazione, Francia e Inghilterra sarebbero crollate miseramente. 

Hitler chiese a Leopoldo III in quale castello Reale avrebbe voluto dimorare durante il periodo di occupazione tedesca ed egli scelse quello di Laeken. Qui i due si incontrarono il 19 novembre 1940, discutendo probabilmente sull’assetto del Regno successivo alla guerra, ma Hitler rimase molto abbottonato, semplicemente poichè ancora non era chiaro a nessuno come si sarebbe sviluppato il futuro. Considerando però l’importanza che le legioni vallone e fiamminghe avrebbero avuto nell’Esercito Tedesco e alla gigantesca figura di Degrelle, così cara a Hitler, è probabile che il Regno sarebbe stato ingrandito, forse a spese della Francia, così come testimoniato in seguito dallo stesso Degrelle, in base a precisi accordi. Infatti è noto che l'assetto della nuova Europa doveva essere, in base all'impostazione politica Hitleriana, in qualche modo "guadagnato sul campo" ed è indubbio il valore dimostrato dai Belgi durante l'intera estensione del conflitto.

Nel frattempo, l’11 settembre 1941, Leopoldo III si era risposato con Mary Lilian Baels, che divenne Principessa de Réthy e gli diede altri tre figli. In questo periodo egli scrisse un importante Testamento Politico, in cui riteneva una vittoria alleata foriera di parecchie sciagure per il Belgio: i trattati che il traditore Pierlot firmava in quel periodo con gli americani, concedendogli sfruttamenti di tutti i tipi in Congo Belga e in altri luoghi, dimostravano la fondatezza dei timori del Re. In sostanza egli temeva in modo lungimirante che il Belgio divenisse di fatto una dipendenza americana, come di fatto avvenne per tutta l’Europa occidentale. 

Volgendo le sorti della guerra al peggio, con lo sbarco in Normandia degli alleati (giugno 1944), Hitler, temendo che Leopoldo III venisse catturato, lo trasferì con la famiglia a Hirschstein, in Sassonia e poi a Strobl, in Austria. Gli americani lo catturarono il 7 maggio 1945 e gli permisero di recarsi in Isvizzera, dove prese alloggio nella Villa Le Reposoir a Pregny-Chambésy, presso Ginevra. 


3. Il secondo dopoguerra

Leopoldo III era ancora formalmente Re, ma tutti lo sconsigliavano di tornare in Patria, dove nei suoi confronti si stava accendendo un grande dibattito. La popolazione era spaccata: c’era chi lo considerava un eroe e chi un semplice amico dei tedeschi con una moglie troppo popolana, anche a confronto della prima moglie Astrid, a suo tempo amatissima dalla popolazione. Naturalmente i politici democratici lo avevano piuttosto in astio. Leopoldo III nominò allora Reggente suo fratello Carlo, il quale si curò di indire nel 1948 un referendum istituzionale, che la Monarchia vinse di misura. A Leopoldo III fu permesso però di tornare solo nel 1950. Il caos generale che seguì al rientro, con una specie di guerra civile tra leopoldisti e anti-leopoldisti, portò il Sovrano all’abdicazione in favore del figlio Baldovino, il 16 Luglio 1951.



Per un po’ di tempo il Sovrano abdicatario continuò ad interessarsi della politica belga, accompagnando con pronti consigli i primi anni di regno del figlio. Tuttavia col passare del tempo, egli preferì dedicarsi a studi di antropologia e varie scienze coloniali nel suo castello di Argenteuil, effettuando altresì parecchie esplorazioni in Venezuela, Brasile (in particolare Orinoco, Amazzonia, assieme ad Heinrich Harre, e Mato Grosso, dove incontrò il Capo Raoni Metuktire) e Congo Belga, fondando tra l’altro nel 1972 il Fonds Roi Léopold III pour l’exploration et la conservation de la nature. Prese inoltre pubblica presa di posizione contro il processo di decolonizzazione forzata che stava avvenendo in Africa in quel periodo, con particolare riferimento all’azione francese. Morì a Woluwe-Saint-Lambert il 25 settembre 1983. 


Vittorio VETRANO   


Bibliografia 

  • Appelius M. (1940), La tragedia della Francia, A. Mondadori, Milano
  • AA.VV. (1973), Le ultime Monarchie, I.G. De Agostini, Novara
  • Degrelle L. (1969), Hitler pour mille ans, La Table Ronde