L'ITALIA PER LA RINASCITA DELLA SPAGNA

23 dicembre 1936: l'Italia invia in Spagna i volontari per combattere, durante la guerra civile, contro i repubblicani. L'esercito partecipò con la divisione "Littorio", mentre la Milizia organizzò le proprie truppe in Gruppi di Banderas. La guerra civile spagnola costò all'Italia più di tremila caduti ed undicimila feriti. 


“I lupi entrarono nell’ovile e le pecore chiusero gli occhi. I denti aguzzi delle belve penetrarono profondamente nelle loro carni.” Con queste parole Alfredo Romanini ben descriveva ciò che i comunisti avevano fatto in Spagna dalla loro presa del potere. Sono ben note le efferatezze compiute dai rossi in quella Cattolicissima terra: esiste ormai una ben copiosa letteratura sull’argomento ed è stata fatta ampia luce su uno dei più obbrobriosi malgoverni della storia Europea.

Oggi si commemora la data simbolica dell’intervento Italiano in Spagna, allorché, il 23 dicembre 1936, una prima formazione di tremila uomini giunse a Cadice col nome di Missione Militare Italiana in Spagna (MMIS), un mese dopo ridenominata Corpo Truppe Volontarie (CTV). Gli Italiani impegnati a vario titolo avrebbero raggiunto in totale il numero di quasi 80.000, con una forza media di 20.000 uomini. I caduti furono 3.819, i feriti all’incirca 11.500. Moltissime le azioni eroiche ed ardite, tanto che nel Regio Esercito vi furono oltre 3.000 decorazioni di cui 9 Ordini Militari di Savoia e 22 Medaglie d’Oro al Valor Militare.

Il ruolo Italiano nella Guerra di Spagna fu determinante, sia numericamente che a livello di materiale bellico fornito, tra armi leggere e pesanti, senza considerare il supporto tecnico, morale e materiale non solo ai commilitoni iberici, ma anche alle stesse popolazioni: per citare un esempio, navi Italiane cariche di cibo provenienti dalle Province di Bari e Fiume furono le prime a soccorrere Barcellona liberata.

In questa giornata occorre perciò significare l’importanza di celebrare questo intervento, dimostrando l’assoluta e imprescindibile necessità dello stesso, in un’ottica di giustizia universale e di autentica fratellanza latina, religiosa e politica tra i due popoli.

Già nel luglio del 1936 l’Italia aveva fornito un certo ausilio attraverso i sommergibili e gli aeroplani, in particolare con l’invio di una decina di bombardieri SM81, gettando così il primo seme della futura gloriosa Aviazione Legionaria: questa fu fondata ufficialmente alla fine del 1936 e i suoi arditi componenti furono in seguito soprannominati novios de la muerte. In ottobre erano poi stati inviati i primi volontari carristi ed artiglieri in qualità di istruttori. Questi espressero subito l’ardente desiderio di partecipare attivamente alle operazioni, sicché furono aggregati alla celeberrima legione del Tercio. Di fronte però ai costanti e massicci rifornimenti in uomini (oltre 45.000 stranieri alla fine del 1936) e armi che provenivano dall’estero alla Spagna rossa, fu necessario rompere gli indugi e costituire un vero e proprio corpo di spedizione.

E’ importante sottolineare lo spirito autenticamente ed esclusivamente volontaristico che animò la costituzione del corpo e più in generale l’intervento Italiano. In questo senso può essere utile citare un episodio tramandato nella famiglia dell’autore del presente articolo. Esistendo spesso persone che confondono lo zelo col sopruso, comparve un giorno in quel di Genova un non meglio precisato esponente politico locale, il quale, propagandando l’intervento in Spagna, iniziò ad apostrofare come mollaccioni alcuni uomini che non volevano affatto partire volontari: ebbene costui fu subito scornato, poiché di fatto contravvenne alle direttive governative, non dovendoci essere nessuna forzatura nel volontarismo. Infatti il nucleo del CTV fu costituito specialmente da coloro che già da tempo erano inquadrati nella Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale (MVSN): il fior fiore dello Squadrismo, come si diceva allora. A questo si aggiunsero i volontari del Regio Esercito della Divisione Littorio e le tre Divisioni miste Italo-Spagnole Frecce NereFrecce AzzurreFrecce Verdi.

Talora anche in ambito nostrano si sentono emergere obiezioni e dubbi sull’opportunità dell’intervento, con ragionamenti spesso di tipo ex post: secondo alcuni dopo la Guerra d’Etiopia e in vista di un probabile conflitto su più larga scala non potevamo consentirci di depauperare ulteriormente la nostra potenza bellica, soccorrendo tra l’altro una Nazione che, in caso di necessità, ben difficilmente avrebbe avuto i mezzi per ricambiare il favore. Ebbene, noi diciamo fieramente no a queste posizioni calcolatrici, indegne del carattere e del generoso animo latino: l’intervento in Spagna fu, prima di ogni altra considerazione, un dovere morale.

Esaminiamo dunque la situazione in cui si trovava la Spagna, quella Nazione Cattolicissima, fulgida espressione di latinità e proprio per questo da subito oggetto di molteplici e variegate cure da parte della cricca massonica internazionale, finalizzate a piegarla e renderla prona all’ideologia anticristiana e antinazionale. Allorché i rossi presero il potere, con mendaci e assordanti proclami assicurarono un periodo di pace e prosperità. La realtà mostrò subito il loro autentico volto, conteggiando un’infinità di delitti inenarrabili.

Dal punto di vista della costruzione del pensiero unico, il governo repubblicano permise la stampa esclusivamente ai fogli sovversivi, perseguitando ogni tipo di oppositore attraverso un sistema basato sulla violenza. Avvalendosi anche dell’ausilio della polizia segreta checa, versione ispanizzata della sovietica Čeka, la repubblica marxista compì i suoi efferati misfatti, collezionando torture e assassinii. Tra i caduti sotto la sferza del terrore rosso, il difensore della Monarchia Cattolica José Calvo Sotelo e il Fondatore della Falange José Antonio Primo de Rivera. Infinita la carrellata di templi incendiati, sacerdoti e vescovi massacrati, monache violate, cadaveri dissepolti e esposti al pubblico ludibrio, blasfemie d’ogni tipo. Si può ben dire che la follia rossa fomentò negli uomini i peggiori e più barbari istinti.

Il programma economico comunista si risolse in buona sostanza nella distruzione di ogni cosa: giojelli d’arte furono trafugati e distrutti, immense ricchezze disperse, l’oro nazionale rubato ed esportato all’estero. Rimane tristemente nota la codarda azione del ministro (poi capo del governo) repubblicano Negrin che trafugò le riserve auree del paese portandole nelle mani di Stalin, a Mosca, donde non tornarono mai più in Spagna.

Dal punto di vista ideologico, il governo rosso, tra pasionarie, ministri e ministresse, s’impegnò strenuamente nella diffusione e nell’attuazione dei terribili principî dell’ideologia maltusiana e del cosiddetto libero amore, promovendo una violenta lotta a nuzialità e natalità. Si narra che a un certo punto le sentenze di divorzio venissero emesse dai tribunali con una velocità tale da sembrare una catena di montaggio, quasiché il governo puntasse a sciogliere ogni matrimonio esistente! Chi oggi stupisce per la decadenza morale dell’Europa, sappia che non v’è nulla di nuovo sotto il sole: la Spagna repubblicana, rossa e massonica ne fu un’accurata fucina di sperimentazione negli anni ’30.

Per operare un sì complesso programma di governo, i comunisti spagnoli chiesero aiuto agli stranieri: giunsero così in Spagna referenziati esperti, come l’ungherese Bela Khun e l’israelita Abele Cohen. Anche i benemeriti Leoni Trotzky e Bronstein fecero la loro puntata in Spagna e altri trenta comunisti sovietici, tra cui specializzati commissari politici, furono mandati da Stalin a Madrid per bene ispirare il governo marxista nelle sue scelte nonché per organizzare le famigerate brigate internazionali.

In molti si chiesero: ma è mai possibile che non ci sia qualche buon Cattolico, qualche fiero Latino che si svegli dal torpore e reagisca a tale inferno in terra? Ebbene l’uomo sorse imperioso: Francisco Franco. E fu la Crociata. Sì, perché di Crociata si trattava e della Crociata quella lotta aveva tutte le caratteristiche: ciò che avevano in odio i nemici era anzitutto la Croce e Franco li distrusse risollevando quella stessa Croce che essi avevano abbattuta. E in soccorso del popolo Spagnolo, della sua fede e della sua civiltà millenaria giunsero cameratescamente altri tre popoli, l’Italiano, il Germanico e il Portoghese. Ma non si creda che questo aiuto fosse una decisione semplice, specialmente da parte Italiana, poiché, essendoci di mezzo la grande politica internazionale, tanti fattori vi si opponevano, primo fra tutti l’inevitabile rottura del delicatissimo equilibrio con Francia e Inghilterra. Ma per ciò che concerne l’Italia, ciò che spinse di più all’intervento fu in un certo senso la Cattolicità del suo Popolo. Non è un caso che quando giornali come Il Regime Fascista ancora mantenevano atteggiamenti cauti e attendisti, già marcatamente combattentista fosse l’Osservatore Romano, il quale aveva lanciato sin dal 23 luglio una campagna interventista. Per l’organo di stampa pontificio (27-28 luglio) non si trattava infatti di “far questione di politica, di reazione o di libertà, di autoritarietà o di democrazia di regimi, di governi, di partiti”: si trattava invece di “far questione di umanità pura, semplice, inequivocabile. Il bivio deve decidere se si è o se si procede con l’umanità o fuori di essa”.


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Ma vediamo ora quali furono le idealità fondamentali che si scagliarono vittoriosamente contro il mostro rosso. Il 4 Agosto 1937 Franco approvò con un decreto gli statuti della Falange Española de las Juntas de Ofensiva Nacional Sindicalista, in cui confluirono Falange e Tradizionalismo, nel ricordo del Capo spirituale della rivoluzione, l’eroico martire José Antonio Primo de Rivera, figlio del Generale Miguel. Falange e Tradizionalismo sono forze animate dal più puro patriottismo, convinte del valore supremo dello Stato, contro ogni spinta confusionaria di tipo anarchico. Ma questo valore supremo dello Stato si estrinseca in una modalità rispettosa dell’individuo, che anzi viene esaltato dalla riscoperta degli autentici valori dell’Hispanidad, valori religiosi, morali, nazionali e civili, attivamente operanti per la prosperità e la giustizia sociale.

Dai punti programmatici emerge chiaramente una concezione organica del Popolo Spagnolo, poiché ivi la Spagna è vista anzitutto come una unità di destino nell’universale. In questo senso ogni separatismo è come un tradimento nei confronti di questa unità, allo sviluppo della quale ogni Spagnolo collabora attraverso la rispettiva funzione familiare, municipale e sindacale, giammai partitica. La partitocrazia dev’essere infatti assolutamente esclusa dalla Spagna, così come la presenza di fazioni o gruppi di potere in perenne lotta, il democraticismo assoluto attraverso il suffragio inorganico e anonimo, il parlamentarismo confuso e ottuso. La vera libertà individuale non può consistere nella licenza di turbare o disunire gli Spagnoli e deve seguire una rigorosa disciplina affinché non si trasformi in sopruso.

Lo Stato Nazionalsindacalista ha una concezione della proprietà privata molto simile a quella Fascista: essa è tanto più positiva e da tutelare quanto più marcia compatta verso il benessere e la grandezza della Nazione; diviene invece tanto più negativa e da scoraggiare quanto più diventa incompatibile con l’interesse collettivo della Patria. Per questo nello Stato Nazionalsindacalista è impensabile avere imprese apolidi che lucrino senza partecipare allo sviluppo nazionale; si avranno al contrario industrie di Spagnoli che contribuiscano alla crescita morale ed economica della Patria. La Spagna diventa così un gigantesco sindacato di produttori. Il sindacalismo, alla base dell’organizzazione lavorativa, si esplica in modo corporativo attraverso il sindacato verticale, costituito per ogni ramo di produzione, il quale è posto al servizio dell’integrità economica nazionale. Lo Stato Nazionalsindacalista non è uno spettatore passivo delle lotte tra le classi o tra i potentati capitalistici, come avviene classicamente nelle demoplutocrazie. Esso invece rende le lotte impossibili poiché tutti coloro che cooperano alla produzione costituiscono una totalità organica che ha un comune obiettivo: lo sviluppo complessivo della Patria. Chi si discosta da questo obiettivo non è in grado di cooperare alla produzione: per questo motivo le banche e i grandi servizi pubblici devono essere nazionalizzati, poiché è impossibile per un privato farsi carico degli obiettivi di questi enti, per forza di cose di portata generale.

Un altro decisivo aspetto, che pure accomuna il Nazionalsindacalismo Spagnolo al Fascismo, è il ruralismo: il settore primario è quello su cui si basa la continuità della comunità organica popolare e pertanto dev’essere sviluppato al massimo. Lo Stato deve quindi impegnarsi nell’assicurare e promuovere bonifiche, miglioramenti fondiari, credito agrario, affinché una società agricola forte e spiritualmente compatta possa forgiare una nuova generazione di Spagnoli elevata di spirito. Al contempo diventa necessaria una vera e propria disciplina dell’educazione e dell’etica, attraverso cui il Popolo Spagnolo sia sempre più volto al buon comportamento ed alla socialità: in questo senso le organizzazioni giovanili e l’educazione premilitare sono essenziali.

Dal punto di vista dell’assistenza sociale, l’istituzione di enti appositi, quali ad esempio il benemerito Auxilio Social, assicura la solidarietà in modo che nessuno Spagnolo si senta solo e abbandonato dalla comunità di cui è parte integrante.

Grande importanza hanno nelle attività sociali le sezioni femminili della Falange, laddove pronte e capaci donne Spagnole collaborano a ricostruire moralmente e materialmente ciò che la follia rossa ha distrutto. Durante la guerra civile il volontarismo femminile della Falange fu essenziale e le falangiste lavorarono instancabilmente per provvedere a tutto ciò che era necessario per la guerra, ivi compresi i generi di prima necessità. La corretta rivalutazione della donna quale fiera regina del focolare, in serrata lotta contro la sciatta, sterile e decadente visione femminista, è una componente essenziale dell’idealità Spagnola. Molte Falangiste furono in prima linea nel diffondere l’autentico concetto di femminilità, nonché nel contribuire all’azione di solidarietà comunitaria. A Barcellona ad esempio, una volta liberata la città dai rossi, gli stessi locali dove si agitavano i più scalmanati esponenti del movimento anarchico, divennero aule feconde dell’Auxilio Social, allietate dall’insegnamento delle maestre e dal giojoso vocìo dei fanciulli restituiti alla normalità della loro vita.

 Al grido di Arriba España e España una, grande y libre, i falangisti Spagnoli, al fianco degli altri Camerati Europei, liberarono Barcellona il 16 gennaio 1939 e giunsero al Trionfo di Madrid del 28 marzo 1939. La guerra vittoriosa finì ufficialmente il primo aprile 1939.

In particolare la presa di Barcellona fu un evento memorabile, anche dal punto di vista morale. E’ particolarmente significativo ricordare che il Cristo di Lepanto, sottratto alla furia profanatrice, venne subito ridonato alla nuova Spagna con una speciale Messa di riconsacrazione in Piazza Catalogna: la secolare unità religiosa della Spagna fu ristabilita, siccome la sua compattezza sociale.



A questo punto occorre purtroppo citare un altro tipo di opposizione nostrana ai principî interventistici, al fine naturalmente di contrastarla e dimostrarne l’inconsistenza. Trattasi di coloro che, assai troppo invaghiti di una sorta di presunto Falangismo primigenio e falsamente purista, disprezzano Franco e il Franchismo in quanto, a loro avviso, indegni successori di Primo di Rivera, se non addirittura traditori delle sue idealità. Ebbene costoro sbagliano sotto un gran numero di aspetti.

Anzitutto essi sbagliano dal punto di vista politico, poiché tendono a piegare quasi in senso socialcomunista il fronte socialnazionale. Essere socialnazionali non significa diventare una copia conforme del socialismo, ma significa superare l’inesistente opposizione tra capitale e lavoro per costruire una società non solo più giusta, ma più funzionale, salvaguardando ed anzi valorizzando ben più di prima tutte le componenti organiche della Nazione, prime fra tutte Chiesa Cattolica, Monarchia, Esercito. Chi non ha compreso questo non ha compreso il significato della Terza Via.

Essi sbagliano poi dal punto di vista storico: nessuno infatti nega che il Franchismo si sia, dopo l’infruttuosa Seconda Guerra Mondiale, in qualche modo impigrito e abbia nel tempo perso un’autentica spinta rivoluzionaria antiliberale. Tuttavia ciò fu causato in gran parte da motivazioni storiche: il contesto internazionale in cui fu costretto a muoversi era quello della guerra fredda e ciò impose un tragico isolamento. Quando poi tale isolamento divenne economicamente e politicamente insostenibile, divenne inevitabile una propensione maggiore verso l’atlantismo, pur obtorto collo: sarebbe stata impensabile infatti una qualunque comunanza d’intenti con un regime ateo e storicamente nemico come quello sovietico. Tuttavia il Regime Franchista non mancò mai di sottolineare la propria lontananza ideologica dalla visione politica americana, come in occasione della Guerra del Vietnam, in cui non appoggiò affatto gli Stati Uniti.

Peraltro, medesimo fenomeno avvenne nel Portogallo di Salazar: l’Estado Novo, mirabile esempio politico e ideologico di autentica rivoluzione sociale, non poté esprimere appieno il suo potenziale proprio a causa del contesto creato dalla vittoria liberalcomunista nella Seconda Guerra Mondiale.

Entrambi i regimi, isolati, furono impossibilitati a svilupparsi come avrebbero potuto in un più ampio contesto socialnazionale. La vittoria nella Guerra di Spagna non fu infatti la premessa di un più ampio successo qualche anno dopo, tanto che la terribile sconfitta la vanificò anche per la stessa Spagna, che pure non aveva partecipato direttamente al conflitto mondiale: il Franchismo non poté sussistere oltre la vita del suo stesso fondatore e la Spagna si avviò nel breve spazio di qualche decennio ad essere totalmente fagocitata dal peggiore modus vivendi delle demoplutocrazie occidentali, precipitando in un vero e proprio abisso morale.

Tuttavia gli artefici della vittoria spagnola rivendicano la loro opera, che sarà futura arra di rinascita, allorché inevitabilmente l’Europa dovrà rialzarsi dalle macerie e tornare agli antichi splendori.

Siamo dunque fieri di quell’intervento e fieri di quella vittoria, che fu vittoria della civiltà contro la barbarie, quella civiltà per cui, come ricorda il documentario di Giorgio Ferroni “España una, grande, libre”, ogni sacrificio di sangue è seme fecondo di più nuove e alte conquiste.


Vittorio VETRANO


Fonti bibliografiche essenziali

  • De Felice R. (1981), Mussolini e il Fascismo. Lo Stato totalitario. Einaudi, Torino
  • Ministero della Guerra (1939), Volontari dell’Esercito nella Guerra di Spagna. Tipo-litografia Turati Lombardi e C., Milano
  • Romanini A. (1939), Ebrei, Cristianesimo, Fascismo. Pubblicazione edita dall’Autore, Firenze


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