UN INTERESSANTE DIBATTITO AL SENATO DEL REGNO TRA MUSSOLINI E CROCE SUI PATTI LATERANENSI

Com’è noto i dibattiti parlamentari di un tempo erano molto più interessanti e colti di quelli odierni. E’ sufficiente prenderne, a caso, uno di un qualunque anno antecedente la seconda guerra mondiale (ma sarebbe probabilmente sufficiente pigliarne qualcuno di quelli dei primi decenni del secondo dopoguerra) e paragonarlo con quelli degli anni odierni per constatare facilmente l’abisso di livello culturale, etico, educativo, oratorio, et cetera et cetera tra gli ottimati di un tempo e coloro che oggidì occupano gli scranni parlamentari. Del resto il regime attuale, che ciarla tanto di “meritocrazia” (parola peraltro piuttosto equivoca, anche perché nessuno ha capito a cosa si riferisca la parola “merito” per l’attuale regime), ha la specialissima prerogativa di insediare costantemente le persone sbagliate nei posti sbagliati: dal mondo del lavoro a quello della politica, da quello dell’economia a quello dell’amministrazione, c’è una specie di selezione al contrario per trovare il più inadatto alla carica. 

Ciò premesso, tra i dibattiti susseguitisi ai Patti Lateranensi nei mesi primaverili del ’29, gustosissimo fu in particolare quello tra il Capo del Governo Mussolini e il Senatore Benedetto Croce, da sempre icona del mondo liberale. 

Ovviamente Benedetto Croce, figlio del liberalismo ottocentesco, così carico di quel vecchio anticlericalismo che aveva impedito per oltre mezzo secolo di riunire la spiritualità del Popolo Italiano in una concorde e non conflittuale appartenenza alla Chiesa e allo Stato, dichiarò il suo voto contrario contestando da un lato le modalità con cui si era giunti alla Conciliazione, dall’altro accusando il Governo di opportunismo, rispolverando il vecchio adagio francese “Parigi val bene una Messa”. 

Egli disse tra l’altro: 

“La ragione che ci vieta di approvare questo disegno di legge non è nell’idea della conciliazione, ma unicamente nel modo in cui è stata attuata, nelle particolari convenzioni che l’hanno accompagnata, e che formano parte del disegno di legge” 

E poi ancora:

“Una obiezione è: che quel che si è eseguito mercé il concordato sia un tratto di fine arte politica, da giudicare, non secondo ingenue idealità etiche, ma come politica, giusta l’altro trito detto che Parigi val bene una messa. Né io nego la mia ammirazione all’arte politica, né ignoro che quel trito detto si suole attribuir leggendariamente a un grand’uomo, a un eroe della storia di Francia, del quale si credette così di interpretare il riposto pensiero, quantunque forse gli si fece torto, perché sta di fatto che egli non pronunziò mai quelle parole. Come che sia, accanto o di fronte agli uomini che stimano Parigi valer bene una messa, sono altri pei quali l’ascoltare o no una messa è cosa che vale infinitamente più di Parigi, perché è affare di coscienza. Guai alla società, alla storia umana, se uomini che così diversamente sentono, le fossero mancati o le mancassero! E il nostro voto, comunque per altri rispetti si voglia giudicarlo, ci è imposto dalla nostra intima coscienza, alla quale non possiamo rifiutare l’obbedienza che ci domanda.” 

Mussolini rispose in modo pragmaticamente impeccabile, uscendo filosoficamente vincitore dal duello col Croce, riportandolo dai voli pindarici della contraddittorietà dei sofismi alla realtà dei fatti. 

Egli disse: 

“Ma ora debbo occuparmi del discorso del Senatore Croce. Voglio dir subito che io gli sono grato del suo voto contrario. (…) Vi è una contraddizione nel suo discorso che bisogna cogliere, ed è questa. Nella prima parte si dice che la conciliazione era ovvia e che si doveva fare, ma successivamente si dice: è con dolore che noi constatiamo la rottura dell’equilibrio che si era stabilito. Ora delle due l’una: o voi siete sinceri quando auspicate la conciliazione, e allora non dovere dolervi se un determinato equilibrio dovrà essere per fatalità di cose rotto; o vi dolete della rottura, e non siete sinceri quando invocate la conciliazione. Dai corni piuttosto ferrei di questo dilemma non è facile uscire.” 

Poiché poi il Croce aveva insistito sul “modo di procedere”, non proponendo però alcunché di differente, Mussolini così gli si rivolse: 

“Ma allora qual è il suo “modo”? Perché non basta dire “il vostro modo non mi piace”. Perché l’Assemblea potesse giudicare, bisognava che si trovasse davanti ad un altro “modo” con cui la questione doveva essere risolta. (…) Tutto ciò mi fa ricordare l’epoca della guerra, quando c’erano due modi di fare la guerra: quello dei generali e dei soldati che la facevano sul serio e quello degli imboscati, i quali nelle sicure retrovie trovavano sempre che con il loro modo avrebbero spostato gli eserciti e stravinto le battaglie. Nessuna meraviglia, o signori, se accanto agli imboscati della guerra esistono gli imboscati della storia (…)” 

Il Duce continua poi a smontare l’architettura dialogica del Croce, mostrando come il preteso equilibrio del 1870-1929 non esistesse affatto e come il liberalismo avesse miseramente fallito in tema di rapporti con la Chiesa, essendo stato superato dallo stesso socialismo: 

“Ma noi sappiamo che cosa era questo equilibrio, quando non si restituivano le visite al nostro Sovrano da parte dell’Imperatore d’Austria, quando si ebbe una rottura tra la Santa Sede e la Francia per via della visita di Loubet, e quando, per oltre 40 anni, i Cattolici furono assenti dal mondo politico Italiano e venivano chiamati “emigrati dell’interno”. Se in un certo momento essi vennero nella vita politica non fu già per effetto del liberalismo, ma per effetto del movimento socialista. Il quale, avendo dal 1890 al 1904 e 1905 immesso nella vita della Nazione enormi masse di contadini e di operai aveva alterato la geografia politica della Nazione. Il capolavoro del liberalismo dell’epoca fu il famoso patto Gentiloni, un patto di compromessi, che oggi si può dire di ipocrisia.” 

Prosegue poi negando che l’anticlericalismo residuale presente nella politica Italiana abbia in qualche modo intaccato il Governo Fascista e che le sirene crociane abbiano avuto qualche presa nella compagine governativa: 

“Lo escludo nella maniera più assoluta, perché la politica religiosa del Fascismo è stata fin dal principio univoca e rettilinea; lo escludo perché al Gran Consiglio, ove è possibile dire tutte le opinioni e manifestare un pensiero anche discorde, con un triplice applauso fu approvata, all’assoluta unanimità, la mia relazione sull’Accordo Lateranense.” 

Sul preteso opportunismo, Mussolini taglia corto:

“Parigi e la Messa. Vi si vorrebbe dare ad intendere che è per opportunismo che noi ascoltiamo la Messa, la quale avrebbe per posta Parigi; nel nostro caso Roma. E’ una posta solenne tuttavia! Ma niente opportunismo, perché noi non abbiamo aspettato il Patto del Laterano per fare la nostra politica religiosa. Essa risale al 1922; anzi al 1921! Vedi il mio discorso del giugno alla Camera dei Deputati. E fu conseguente e rettilinea, pur non cedendo mai tutte le volte che era in giuoco la dignità, il prestigio e l’autonomia morale dello Stato.” 

In sintesi la differenza fondamentale che emerge tra Mussolini e Croce è nella concezione dello Stato. La concezione liberale dello Stato è debole, poiché esso è per loro un guardiano, al più un amministratore: anche il rapporto con la Chiesa risente perciò di questa impostazione. Per la concezione Fascista, e quindi socialnazionale, lo Stato è invece anzitutto un forte organismo spirituale, che pertanto non può che convergere con il potere religioso anzitutto dal punto di vista spirituale.

Purtroppo i difetti della vecchia e superata Italia liberaldemocratica sarebbero però riemersi dopo la sconfitta bellica, per peggiorare ampiamente man mano che ci si avvicina ai giorni nostri. Chi conosce bene le camarille politiche del periodo liberale tra '800 e '900, le riscopre infatti assai facilmente nei decenni che giungono fino ai nostri giorni. 

Beninteso, se è vero che il periodo monarchico-fascista innalza il livello qualitativo dello Stato rispetto al periodo monarchico-liberale, è pur vero che anche lo stacco tra quest'ultimo e  il periodo repubblicano-democratico che giunge fino ad oggi rimane enorme, per tutta una serie di motivi: anzitutto anche prima del Fascismo l’Istituto Monarchico era in grado di nobilitare lo Stato sollevandolo dalle piccole manovre partitiche; contemporaneamente, il Senato del Regno, slegato dal partitismo, manteneva da sempre una dignità oggidì totalmente sconosciuta. Inoltre l’educazione media e la preparazione dei politici ottocenteschi era infinitamente maggiore rispetto a quella dei politici odierni, sicché quei vizi appena accennati nell’800 risultano oggigiorno involgariti e peggiorati in modo imbarazzante.


Vittorio VETRANO 


Bibliografia 

  • Menozzi D. (2016), Croce e Gentile, in Enciclopedia Treccani
  • Mussolini B. (1934), Scritti e Discorsi Vol. VII, Hoepli