LA FESTA DELLA REPUBBLICA ED I GIULIANI, ISTRIANI, FIUMANI E DALMATI

L'editoriale del mese di giugno MMXX.

 

Siamo noi, giuridicamente, cittadini di questa Repubblica? E’ una domanda che da sempre mi sono posto e che ha trovato negli anni tante differenziate  risposte.

Vero è che noi,  genti del  confine orientale siamo stati protagonisti e nello stesso tempo tragicamente testimoni di situazioni storico-politiche di indicibile crudezza.

Dopo l’8 settembre 1943,i nazisti occuparono  le province di Udine, Gorizia, Trieste, Pola, Fiume e Zara  “manu militari” mettendo in atto l’operazione “Alarico”, con  la caratteristica di una vera e propria annessione al Terzo Reich, con l’istituzione dell’Adriatisches Kunstenland”, riproponendo una antica denominazione austroungarica del “litorale  adriatico”.

 Nelle nostre terre non si vide più sventolare il Tricolore  della Patria, ma soltanto la bandiera  con la svastica. Le lingue ufficiali erano i tedesco ed il croato, l’italiano abolito perché correo del “tradimento” dell’8 settembre.

Ustascia croati, Domobranzi sloveni fedelissimi alleati dei tedeschi non fecero mai mistero della loro anti-italianità. I fascisti della Repubblica Sociale Italiana non contavano nulla, tanto che non potevano nemmeno esporre il Tricolore della R.S.I.

Gli italiani che volevano recarsi nell’Adriatisches Kunstenland dovevano munirsi di passaporto  Eravamo un protettorato tedesco, ne più, ne meno come la Boemia e Moravia.Il 1° maggio 1945 i tedeschi di arresero. La guerra era finita, ma non per le province di Gorizia, Trieste, Pola,  Fiume e Zara che dovettero subire  l’occupazione militare da parte della Jugoslavia. Eravamo finiti dalla padella nella brace.

Fu una occupazione breve, 40 giorni,  per Gorizia e Trieste che però lasciò sul campo una scia di sangue, di morte: le foibe. Tutta l’Istria,  Fiume e Zara rimasero occupate dagli jugoslavi del maresciallo Tito. L’Italia era lontana, assente, mentre la canaglia comunista applicava nei nostri confronti la pulizia etnica.

Fino al 10 febbraio 1947, quando venne firmato il Trattato di Pace a Parigi, le nostre terre erano italiane a tutti gli effetti.  Nelle città la presenza dei Comitati di Liberazione Nazionale, legalmente costituiti, consentivano a tutti di guardare avanti con fiducia mai più pensando, anche se i componenti  locali del Partito comunista italiano era favorevoli alla Jugoslavia,   che saremmo stati costretti ad abbandonare le nostre terre ed andare raminghi per il mondo da esuli.

Eravamo ottimisti. La Patria non ci avrebbe tradito. Con il 1946 le cose cambiarono in peggio. L’Amministrazione comunista jugoslava sciolse i Comitati di liberazione nazionale, creò i Comitati Popolari Cittadini alla cui dirigenza misero persone del posto, di fede comunista. Le libertà che avevamo ottenute a guerra finita non esistevano più.

Niente processioni religiose, negato ai nostri pescatori e marittimi il piacere di cantare le canzoni tradizionali in dialetto, il Tricolore sparito o vilipeso con l’applicazione di una stella rossa nel campo bianco, arresti, soprusi, intimidazioni. Per noi iniziava una nuova guerra.  Si ascoltava “radio venezia giulia” che trasmetteva da Venezia ed iniziava le trasmissioni sulle note del “Nabucco”. La si ascoltava a volume basso, attaccati all’apparecchio radio, così come avevamo ascoltato “radio Londra” nel periodo bellico. Guai seri se i militi della Difesa Popolare ci avessero scoperti.

Avremmo ardentemente desiderato  poter votare al Referendum istituzionale del 2 giugno 1946 ma ci fu impedito. La nostra italianità, il nostro amore per la Patria non interessava ai politici di Roma, eppure l’Istria, Fiume e Zara erano Italia fino al 10 febbraio 1947, anche se sotto amministrazione jugoslava.

Come noi Istriani, Fiumani e Dalmati, ricordiamo che non poterono votare i militari prigionieri di guerra nei campi alleati e gli internati in Germania, non  votò la provincia di Bolzano che dopo la creazione della Repubblica di Salò era stata annessa alla Germania.

Oggi, 2 giugno 2020, ricorre il 74° anniversario della proclamazione (mai avvenuta in forma ufficiale) della Repubblica Italiana. Sorge spontanea la domanda: noi che non abbiamo votato ”Repubblica” dobbiamo ritenerci “obtorto collo” come se avessimo concorso alla sua nascita o siamo rimasti fedeli alla Corona? Sembra paradossale, ma molti come me, pur rispettosi delle leggi dello Stato repubblicano, non hanno mai rinunciato a sentirsi legati alla Corona d’Italia, monarchici fedeli a chi oggi rappresenta con onore la prosecuzione di una storia e di una dinastia che non può dimenticare l’adamantina figura di Umberto II di Savoia. ultimo Re d’Italia.

Rimini, 1° giugno 2020


Giovanni RUZZIER