L' ARALDICA ITALIANA OGGI

Intervista del Cav. Alessandro Mella, membro del Comitato Scientifico dell' Annuario della Nobiltà Italiana.


DOMANDA

Nell’immaginario collettivo si ha spesso un’idea molto vaga dell’araldica. Una certa ideologia “incolta”, che trae origine dalla Rivoluzione Francese, ha cercato di far passare l’idea che l’araldica abbia scarsa importanza nella vita di una nazione, relegandola a disciplina unicamente legata alle vicende di poche famiglie illustri, mentre sappiamo che in realtà essa si può dire legata all’intera nazione e all’intero suo popolo, tanto che ogni famiglia potrebbe avere un suo stemma. Peraltro, accanto a un’araldica familiare e gentilizia, esistono altresì un’araldica statale, una ecclesiastica, una amministrativa ed anche una dei cosiddetti enti morali. Ci può spiegare meglio la questione? Che cos’è in definitiva l’araldica e quante “araldiche” esistono?


RISPOSTA

L’Araldica è definibile come lo studio delle armi e degli stemmi gentilizi nonché delle loro norme grafiche, della loro evoluzione, dei molti significati che essi possono assumere e dell’arte del realizzarli secondo canoni che si sono consolidati nei secoli. I cambiamenti della società, della sensibilità dei popoli ed anche della comunicazione hanno reso la materia un poco più elitaria. La ragione non è solo e soltanto politica e non la farei risalire solo alla Rivoluzione Francese ed alla rottura nel corso della storia che essa rappresentò. Lo stesso progresso ha mutato il modo di trasmettere concetti e messaggi. Un tempo le immagini erano il principale mezzo di comunicazione. Esse erano comprensibili a tutti e specialmente a coloro i quali non sapevano leggere o scrivere. Oggi con l’alfabetizzazione di massa, la comunicazione rapida, i social, la televisione, il cinema e così via i modi di comunicare sono diventati infiniti ed anche il potere ricorrere a strumenti diversi. Gli stemmi sono quindi memoria e retaggio, tradizione e storia, ed il loro ruolo anche di strumento si è sensibilmente ridimensionato.


DOMANDA

Come si è sviluppata storicamente l’araldica nazionale? Sappiamo che l’argomento è vastissimo, ma c’è qualche aspetto che le piacerebbe puntualizzare? 


RISPOSTA

L’Araldica italiana ha origini antichissime. Già le legioni romane disponevano di precise simbologie che culminavano nelle aquile delle legioni (concetto poi ripreso per le bandiere d’epoca napoleonica) ed in generale anche le popolazioni più antiche disponevano di simboli che potessero immediatamente trasmettere il senso d’autorità di chi deteneva le varie forme di potere. Tuttavia gli stemmi come li intendiamo oggi videro luce nel medioevo principalmente come insegna per gli scudi dei cavalieri. Con il tempo, per distinguersi, essi divennero sempre più elaborati e complessi nonché densi di significato secondo l’immagine che la famiglia o il soggetto volevano dare di sé. Maggiore impulso l’Araldica ha avuto nei regni preunitari per poi trovare la stagione più vivace con il Regno d’Italia.


DOMANDA

L’araldica si può definire una vera e propria scienza? Per quali motivi? Si dice che l’araldica sia spesso una vera e propria disciplina “ausiliaria”: in particolare che rapporti ha con la storia, la genealogia, la geografia, il diritto e la storia dell’arte? 


RISPOSTA

Sicuramente, avendo norme e codici precisi, una sua storia, un lungo percorso rigoroso, è definibile scienza. Proprio perché, se ben applicata, non risponde ai desiderata soggettivi ma a norme consolidate da seguire e rispettare. Come le moderne normative sul disegno tecnico ad esempio. Proprio per le ragioni che ho spiegato poco fa essa ha senz’altro profondi legami con tutte le discipline. Perché uno stemma racconta la storia, le peculiarità, le tradizioni in ogni forma, i trascorsi di una famiglia o di un’istituzione o perfino di un determinato territorio.


DOMANDA

Dalla fine della seconda guerra mondiale si è assistito in Italia a una vera e propria, ci si passi l’espressione, “trascuratezza araldica ufficiale”. Se da un lato stemmi e immagini sono fioriti qua e là spesso unicamente a scopo pubblicitario, dall’altro ci si ritrova oggettivamente di fronte a una vera “giungla” non regolamentata. In effetti lo stato repubblicano, probabilmente vittima di un tardivo quanto superficiale giacobinismo, ha ritenuto suo “dovere” doversi disfare di un qualcosa ritenuto “non suo”: basti pensare agli emblemi utilizzati dalle regioni, irrispettosi di ogni regola araldica, oltreché oggettivamente “brutti”, sregolati e poco significativi.


RISPOSTA

In verità non è del tutto vero. La repubblica italiana, non riconoscendo la nobiltà familiare e personale, non ha curato l’araldica ad essa collegabile e riconducibile il che, per quanto possa sembrare spiacevole, ha una sua coerenza ed una sua logica. In questo molti ci hanno letteralmente sguazzato. Ma se la repubblica non riconosce la nobiltà va da sé che non possa riconoscerne e quindi disciplinarne e tutelarne le espressioni e rappresentazioni araldiche. In questo c’è, se la vediamo dalla prospettiva delle istituzioni postbelliche, una logica consequenziale. Diversamente le istituzioni hanno discretamente tutelato l’araldica militare e quella istituzionale garantendo anche una discreta, seppur imperfetta, continuità. Molti comuni hanno stemmi secolari che si sono solo minimamente adattati al cambio dei tempi e dei sistemi politici ed istituzionali e così molti reggimenti delle forze armate. Non dimentichiamo che presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri esiste un ente preposto. Si potrebbe far meglio? Certamente, sempre, ma questo è altro discorso.

Le considerazioni sugli emblemi regionali richiedono un pensiero più complesso. Se voi notate gli stemmi dell’esercito o dei comuni o perfino delle provincie hanno uno stile ed una grafica abbastanza in linea con le tradizioni proprio per le ragioni che dicevo prima. Si tratta talvolta di concessioni fatte nel corso dell’ottocento e novecento cui le comunità locali malvolentieri rinuncerebbero. Ergo quegli stemmi sono stati solo ritoccati il minimo in continuità con il passato. Questo, e vale anche per gli stemmi delle forze armate, ha costretto lo stato ad adattarsi anche nella creazione di blasoni di nuovi comuni o reggimenti. Per questione di uniformità se non altro. Si tratta di una fortuna in un certo senso perché questo ha preservato una parte del nostro patrimonio araldico e qualche volta l’ha rinnovato. Per le regioni è diverso, sono nate negli anni ’70 quando era molto di moda il design moderno a scopo commerciale e così i loro “stemmi” risentono di quella cultura e di quella sensibilità. Nulla hanno a che spartire con l’araldica antica e non sono in continuità con essa. Ricordano più dei marchi commerciali od il modernariato di fine secolo scorso. Insomma sono figli, un poco bruttini invero, del loro tempo. L’era della plastica ha indirettamente influenzato anche quelle creazioni.



DOMANDA

Sappiamo che lei collabora con l'Annuario della Nobiltà Italiana. Il lavoro che svolge in tale ruolo riguarda anche l'araldica? In che modo?


RISPOSTA

Certamente si, alle genealogie delle famiglie riportate nell’Annuario viene sempre associato lo stemma, quando disponibile, con relativa blasonatura. Anche perché gli stemmi delle famiglie erano creati con riferimenti precisi alle vicende, alle peculiarità delle stesse. Sono un libro aperto su tante storie antiche e nuove. Inoltre l’Annuario realizza, su richieste, rappresentazioni grafiche degli stemmi stessi per i committenti e ne pubblica, anche a colori, nei suoi volumi. Araldica e genealogia sono direttamente collegate e la seconda concorre a legittimare la prima.


DOMANDA

Secondo lei come ci si può muovere oggigiorno in Italia per far riscoprire alla popolazione l’importanza e la bellezza dell’araldica e per poter riuscire a farle recuperare il posto che giustamente le spetta anche in ambito politico, statale ed amministrativo? 


RISPOSTA

Direi che sono due domande in una. La popolazione va sensibilizzata con la cultura della materia cercando un approccio accattivante che spazzi via i pregiudizi e gli errori divulgati a man bassa dai moderni media e da un certo gossip di poco valore. Operazione non facile obiettivamente. Si deve fatalmente puntare molto sul valore storico di ciò che l’araldica rappresenta. I suoi meccanismi, complessi ed elaborati, possono anche generare curiosità.

Scinderei poi la seconda parte della domanda. Sul piano politico non nutro speranze. Ai politici in senso stretto interessano questioni più concrete e difficilmente, salvo rare e lodevoli eccezioni, si nota sensibilità dei parlamentari verso temi culturali. Figurarsi verso l’araldica. Diverso invece è l’approccio delle istituzioni che sono altra cosa rispetto alla politica. Direi che a livello di ministeri, uffici e prefetture esiste una sensibilità maggiore. Perfino nei sindaci che spesso si preoccupano di definire al meglio gli stemmi delle loro comunità.

Si viaggia, quindi, su binari diversi purtroppo. Di sicuro occorre un impegno generale per difendere questa disciplina e la sua lunga ed affascinante storia. E soprattutto per liberarla dai tanti preconcetti, dai cliché, dalle etichette di comodo imposte da una modernità che poco si cura di capire ciò di cui si fa beffe.


A cura di Vittorio VETRANO