IL DISASTRO DEL VAJONT

Verificatosi la sera del 9 ottobre 1963, nel neo-bacino idroelettrico artificiale del torrente Vajont nell'omonima valle (al confine tra Friuli e Veneto), il disastro coinvolse prima Erto e Casso, paesi vicini alla riva del lago dopo la costruzione della diga, poi provocò l'inondazione e la distruzione degli abitati del fondovalle veneto, tra cui Longarone, e la morte di 1917 persone.


Ho nel ricordo da bambino, il viaggio in automobile con destinazione il territorio del Cadore. Dopo Belluno si transitava e si transita da Longarone e durante il passaggio un lontano (nel tempo) racconto misto tra il catastrofico ed il quasi soffocante dispiacere del mio papà sulla vicenda.

Era la sera del 9 ottobre del 1963, una frana colossale precipitò in una riserva d’acqua nella valle del Vajont, al confine tra Friuli-Venezia Giulia e Veneto, provocando un violento ‘tsunami’. Si concretizzò uno dei disastri naturali europei più gravi del ‘900, che rase al suolo la cittadina di Longarone e provocò la morte di oltre 2000 persone, stravolgendo completamente l’assetto del territorio.  

La diga, che nonostante il disastro naturale rimase in piedi, era un motivo di orgoglio per l’ingegneria italiana. La sera del 9 ottobre del 1963, alle 22:39, un enorme blocco di terra di 400 metri cade dal Monte Toc, provocando una frana con una massa di terra precipitata nel lago, superiore all’estensione del lago stesso, che provoca due gigantesche onde, alte più di 250 metri. La seconda, la più terribile, scavalca la diga per finire nella valle del Piave, verso ovest: coglierà in pieno la cittadina di Longarone che viene spazzata via. Perdono la vita circa 1920 persone, tra cui centinaia di bambini.

Prima ancora di raggiungere Longarone, l’onda aveva smosso una quantità d’aria tale da essere considerata paragonabile ad una piccola bomba atomica, così forte che gran parte delle vittime vennero trovate nude, poiché i loro vestiti erano stati spazzati via dallo spostamento. Purtroppo la tragedia era ahimè prevedibile. Gli abitanti di Erto e Casso che la prima ondata spezzò via continuavano a percepire i segni ed i rumori di una frana imminente, e fino al 1963 non smisero mai di manifestare i propri timori. 

Ma gl' interessi economici della Ditta SADE, suffragati dalla politica che con una legge del 1962 aveva creato L'ENEL per nazionalizzare il gestore dell' energia elettrica, pur nell'acclarata instabilità geologica della zona e nonostante incidenti mortali in fase di realizzazione portarono a compimento l'opera perfetta dal punto di vista strutturale ma collocata in una zona a rischio elevatassimo. 

Tant'è che ad essere accusati furono alcuni dirigenti e consulenti della SADE e alcuni funzionari del Ministero dei lavori pubblici in quanto tutte le relazioni tecniche del caso dimostrarono che la catastrofe era prevedibile, ma a causa di interessi privati, la gigantesca diga era stata costruita ed utilizzata in un territorio ad altissimo rischio di frane e fenomeni sismici.  

I capi d'imputazione furono: disastro colposo (sia di frana che d' inondazione), omicidio e lesioni colpose plurimi.

Il processo durato dal 1968 al 1972 condannerà i colpevoli ed ENEL con lo Stato Italiano al risarcimento dei danni. Purtroppo quei tre aspetti di, imprudenza, negligenza ed imperizia, estrapolati dall'art.43 del codice penale, continueranno negli anni, fino ai giorni nostri (Ponte Morandi di Genova) ad essere le cause di tanti disastri.


Gianluca RIGUZZI


Foto di copertina da https://www.interris.it/news/57-anni-vajont/