"OGGI GUARDIAMO CON STUPOR LE STELLE"

"Oggi guardiamo con stupor le stelle"[1]: ricordi danteschi di un moderno scienziato. L’articolo riprende argomenti presenti in vari contributi richiesti all’Autore in occasione del “1° Dantedì” del 25 Marzo 2021, celebrato in tutto il mondo per ricordare il giorno individuato dagli studiosi come inizio del “viaggio di Dante narrato nella Commedia” (25 Marzo 1300) e che preannuncia le celebrazioni per il 700° anniversario della scomparsa del Poeta, avvenuta il 14 Settembre 1321.   


1 - Fuit antea tempus cum...

Riprendendo l’incipit di molti autori latini che si rifacevano a tempi lontani ed in qualche modo caratterizzati da situazioni al limite della mitologia, in questo anniversario plurisecolare anche noi ci lasciamo prendere da sentimenti, immagini, memorie ricche di nostalgia. Riferite ad un tempo non così lontano da considerarsi estraneo, ma sufficientemente passato da percepirlo come in un’aura nebbiosa, ricca però di colori e sfumature quasi impalpabili: il tempo degli studi scolastici. Il tempo in cui Dante ci appariva a volte come un alieno per l’immensità della sua cultura, a volte come il prototipo di un’umanità umorale, capace di immense aperture spirituali e di rancorose invettive, a volte come nulla più di un simbolo racchiuso in un incredibile schema di architettura letteraria progettata e realizzata con sublime maestria artigiana.

All’epoca l’opera dantesca veniva studiata nelle scuole superiori quasi nella sua interezza e la Commedia, oltre ai suoi aspetti poetici, morali, estetici, era vista come la migliore enciclopedia medievale, per di più in volgare: si può dire che la considerazione di tale opera oscillasse tra un incredibile preludio alla settecentesca Encyclopédie e un primo esempio di Oeuvre Cathédrale (termine che sarà molto più avanti utilizzato per la proustiana Recherche), anche se in realtà la visione imperiale da Guelfo di Parte Bianca (quasi Ghibellino…), il suo profondo, ancorché critico, cattolicesimo e la sua visione puramente strumentale della Scienza scavano un solco incolmabile  nei confronti dell’Illuminismo; ed il cammino lineare, se pur difficoltoso, verso una sicura salvazione narrato nella Commedia poco ha in comune con la circolarità quasi ineluttabile della Recherche, rendendo così puramente semantica la similitudine tra le due Oeuvres Cathédrales.

 


Esterno ed interno del Mausoleo che raccoglie i resti mortali di Dante – 

Esso si trova in Ravenna dove il Poeta si spense il 14 settembre 1321  

Fonte iconografica: https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=56077554


2 – L’identificazione con Dante

Dante e le sue opere erano effettivamente un mito. Eppure sembrava così lontano da tutto ciò che era la vita quotidiana. Chi voleva colpire sentimentalmente una ragazza non le dedicava “Tanto gentile e tanto onesta pare”, ma piuttosto “Cet amour si violent si fragile…” (Prévert andava alla grande a quell’epoca), o cercava tra le poesie d’amore di Eluard o di Neruda;  i dubbi e le incertezze esistenziali della gioventù non si identificavano con selve oscure o con il (temporaneamente) negato ingresso alla città di Dite, ma piuttosto con lo smarrimento nell’immaginare l’Ignacio di García Lorca salire “sui gradini con tutta la sua morte addosso”. E la scienza aristotelica, rivisitata in chiave tomistica, era molto lontana dalla Fisica moderna.

Ma perché dunque Dante riusciva magicamente ad impadronirsi di noi? Probabilmente perché egli rappresentava l’umanità nel senso più completo del termine: l’umanità con i suoi pregi ed i suoi difetti, i voli vertiginosi del pensiero e le cadute abissali delle imperfette e spesso sciocche realizzazioni. Piaceva il suo peregrinare con l’umiltà del chiedere ma con l’orgoglio di chi non rinuncia alla propria dignità; il suo confessare le proprie debolezze senza tuttavia mostrare ipocrita vergogna per esse; l’avere ideali senza diventare (totalmente) schiavo di ideologie; il saper brandire allo stesso modo le Sacre Scritture e la spada avvertendo il pericolo che una delle due prendesse troppo il sopravvento sull’altra; il suo antivedere un’identità nazionale senza cadere in una vuota retorica. In altri termini, oltre ad ammirare la sua immensa cultura e arte poetica, non dispiaceva affatto identificarsi con Dante, considerando un onore l’esilio, amando con costanza e profondità una donna, sperando in una salvazione conquistabile a fatica ma comunque alla nostra portata. Riconoscendo che il Poeta non era certo perfetto in nessun campo, ma radunava in se’ molte delle cose che consideravamo positive. Semplicemente egli aveva in giusta misura l’animus dell’eroe. Anche per questo tutti, tra le tre cantiche della Commedia, preferivano l’Inferno e, in sottordine, il Purgatorio. Molto meno il Paradiso: perché nell’ultima cantica troppo spesso Beatrice tratta Dante come la maestra d’asilo tratta i bambini piccoli: egli non sa, non capisce, troppo difficile comprendere i misteri…deve ancora crescere. Dunque, meglio il più carnale e violento Inferno, o il più stemperato Purgatorio, dove se il Poeta talvolta sviene, pazienza: capita a tutti di essere vittime di un’emozione troppo violenta!

Parafrasando molto liberamente Cicerone, potremmo dunque dire che “Etenim, cum animo complector, multas reperior causas cur Dans poeta maximus videatur”[2]; certamente su ogni singolo argomento probabilmente faremmo scelte diverse, ma complessivamente la personalità di Dante è tale da essere invidiabile e, in particolare, sarebbe tutt’altro che sgradevole essere come lui.


Il modello cosmo-teologico di Dante.


Un “piccolo” angolo di universo come noto oggi. La nostra galassia è troppo piccola per essere distinguibile. Se l’immensità prefigurata dall’immagine attuale sembra quasi tramortirci, l’universo dantesco continua a porci domande esistenziali non meno sgomentanti.


3 – La scienza di Dante

Una considerazione a parte merita il complesso di spiegazioni “scientifiche” che, molto numerose, sono elargite lungo tutto il poema: dall’origine delle macchie lunari (Paradiso, II), alla geometria euclidea (Paradiso, XVII), alla equiprobabilità di eventi neutrali (Purgatorio, VI), alla logica modale (Inferno, XXVII) e alla sua critica (Paradiso, VI), alle leggi dell’ottica geometrica (Purgatorio, XV), all’eterno problema della quadratura del cerchio (Paradiso XXXIII) e a molto altro ancora. A questo si aggiunga la notevole descrizione di fenomeni naturali quali nebbie, terremoti, maree. Non ultimo, nel molto discusso trattatello Quaestio de aqua et terra, egli confuta l’idea che l’acqua possa in qualche luogo trovarsi ad un livello superiore a quello della terra, allontanandosi quindi dalla classica teoria aristotelica dei quattro elementi distribuiti (in senso ascendente) come terra, acqua, aria, fuoco.

Posizione decisamente rilevante se si pensa che l’intero cosmo immaginato e descritto da Dante nella Commedia è sostanzialmente geocentrico e pienamente aristotelico, se pure rivisto in chiave tomistica. Si ha tuttavia l’impressione che il modello cosmologico dantesco abbia più un significato teologico che fisico. L’idea delle nove sfere celesti, ognuna in corrispondenza con una particolare schiera angelica (Angeli, Arcangeli, Principati, Potestà, Virtù, Dominazioni, Troni, Cherubini, Serafini) appare più come un caveat indirizzato all’uomo, per rammentargli che l’avvicinamento a Dio è per gradi, da seguirsi con perseveranza e fede; nello stesso tempo, è un messaggio di razionalità: ogni cosa ha una sua spiegazione e l’universo nel suo complesso (come peraltro ci hanno insegnato i filosofi greci da Talete ad Aristotele) è comprensibile. Affermazioni forti che si pongono volutamente in contrapposizione con i misteri superiori, di fronte ai quali il Poeta sa di non potersi umanamente esprimere.

Sicuramente, per quanto evidente frutto di ampia cultura e di grande spirito di osservazione, la scienza di Dante sarebbe potuta apparire piuttosto lontana dalla realtà a chi contemporaneamente seguiva i corsi di Fisica e di Scienze Naturali nel pieno del ventesimo secolo. Ma non era affatto così: la storia della Filosofia aveva chiaramente mostrato che i “figli” medievali della Fisica aristotelica non erano interessati alla “descrizione dei movimenti”, così come si sarebbe affermata nel pensiero post-galileiano, bensì ad una sorta di ontologia del divenire, mirata all’analisi dei princìpi. Sotto questa luce la scienza dantesca è veramente ammirevole per capacità di analisi e simultanea pienezza di espressione poetica.

E così Dante, dopo essere uscito “a riveder le stelle” ed essere diventato con Virgilio puro e disposto “a salire alle stelle”, può avere contezza dell’Amor “che move il Sole e l’altre stelle”. Sicuramente le stelle che il Poeta aveva in mente erano diverse da quelle che noi conosciamo e che ora classifichiamo con vari nomi, ricchi di meraviglia: nane bianche, nane brune, supernovae, pulsar, giganti rosse, giganti blu, black holes, quasars…Eppure anche se le stelle nel pensiero di Dante sono più semplici, ogni volta che leggiamo i suoi versi si ha l’impressione che quelle stelle rispetto alle nostre siano più luminose; più brillanti. Più alte.


Flavio VETRANO

Professore Onorario di Fisica

Già Ordinario e ProRettore presso l’Università degli Studi di Urbino


[1] Endecasillabo dell’Autore che si richiama ai noti versi che chiudono le tre cantiche della Commedia dantesca.

[2] M.T. Cicerone,“Cato Maior sive de Senectute”.


Immagine di prima pagina: affresco ritenuto il primo ritratto di Dante (il personaggio con il mantello rosso). Firenze, Palazzo del Bargello - Cappella della Maddalena (datato 1302 o più probabilmente 1290), attribuito a Giotto.