ITALIA MIA, BENCHE'

L'editoriale di luglio-agosto MMXX.


Nel vortice di questo gran caos socio-politico-culturale ogni assurdità ideologica è oramai valida ed il progressismo clerico-giallo-fuxia dei nuovi bigotti costituisce il triste epilogo di un’Italia demente, ovvero privata della sua memoria.

La nostra Patria, svilita ed umiliata dalle classi dirigenti degli ultimi decenni, sta morendo in una lenta agonìa, soffocata dal delirio di decerebrati molestatori di statue, radical chic ipocriti, boldriniani disgustosi e zelanti bergogliani. Stiamo affogando la nostra identità nel fango dell’omologazione plebea eretta a giustizia; la corruzione quotidiana costituisce ormai l’orizzonte della nostra esistenza, la volgarità è diventata stile di vita. La nostra nazione non muore per colpa di patologie virali ma per lo squallore sociale creato ad arte e molto più virulento di qualsiasi patogeno.

Ma, d’improvviso, ritorna la splendida canzone del Petrarca: “Italia mia, benché ’l parlar sia indarno a le piaghe mortali che nel bel corpo tuo sì spesse veggio…”.

Fermiamoci un attimo a riflettere. Torniamo a focalizzare la nostra anima su ciò che conta veramente. Riscopriamo con vigore la sorgente della nostra identità. L’Italia: nobile ideale in cui crediamo fermamente e per il quale tanti militari e civili hanno versato sangue e lacrime, Nazione indiscutibilmente sacra che Dio ci ha donato nella sua grande bontà (ringraziamo quotidianamente Dio di averci fatti italiani) e che noi dobbiamo difendere, curare e coltivare recuperando la speranza di una rinascita sociale ed integrale.

Tempo fa è uscito per i tipi di “Altaforte” il bellissimo saggio di Adriano Scianca “La nazione fatidica”, nelle cui coraggiose pagine vengono rievocate le origini storiche ma, soprattutto, meta-storiche, della nostra Nazione. Sebbene il Risorgimento sia stato un periodo storico fondamentale che, piaccia o meno, ha sancito definitivamente la tanto sospirata unità politica italiana, lo stesso Marcello Veneziani sostiene che per recuperare il Mito di Fondazione dell’Italia bisogna tornare molto più indietro dell’Ottocento: “alle origini del mito italiano non c’è un condottiero ma un uomo di pensiero e poi altri uomini di lettere. Dico di Pitagora, mitico sapiente, matematico, cultore della musica e del bello e guida politico-religiosa che per primo pensò di unire la penisola italica… dico di Virgilio che narrò nell’Eneide il mito romano di fondazione nella figura di Enea… sempre in Virgilio si legge la promessa mitica di Giove: < Conserveranno gli Ausonii la patria lingua e i costumi… e renderò tutti in un’unica lingua latini>. L’Ausonia è un altro nome antico e poetico dell’Italia… Dante tenne alta la fiaccola italica e sognò per tutta la vita un Veltro che la unisse e desse corpo a quell’antica anima spirituale… il mito d’Italia restò intellettuale e letterario per molti secoli, risuonò in Petrarca e Machiavelli fino a Leopardi e Alfieri, Foscolo e Manzoni, prima di farsi storia… la linea di Pitagora, Virgilio e Dante riaffiora in Vico nella straordinaria ricerca dei miti di fondazione italica, tra linguaggio e sapienza poetica. In particolare nel De Antiquissima Italorum Sapientia, dove è spiegata la genesi <ariosa> dell’anima latina, la cui sede, nota Vico, era indicata dai primi filosofi d’Italia nel cuore. E poi Vincenzo Cuoco col suo Platone in Italia, un poderoso romanzo filosofico, anche farraginoso, che si sofferma sull’ardito disegno di Pitagora che ancor prima dei romani <volea far dell’Italia una sola città> perché la civiltà italica era anteriore alla fondazione di Roma… poi venne Vincenzo Gioberti col suo Primato morale e civile d’Italia in cui sottolineava che <il nome d’Italia è antichissimo e perpetua la sua civiltà> e la sapienza italica, che è alle origini della cultura e della civiltà, sorse in Magna Grecia coi Pitagorici, poi dal sud d’Italia si estese nel mondo, e <venne finalmente riportata in Italia, dove rifulse in Catone, Varrone e Plinio> (M. Veneziani).

Dopo aver ricordato la plurimillenaria storia della nostra Italia, la Saturnia Tellus, giardino d’Europa (‘giardin de lo ‘mperio”, come la definì Dante, il quale - proprio nella Cantica del Purgatorio dove è contenuto il canto VI dedicato all’Italia - cantò il Tricolore quale specchio delle tre sacre virtù teologali: verde-speranza, bianco-fede, rosso-carità), possiamo ancora sopportare questa crisi esistenzial-nazionale in cui ci troviamo? Possiamo ancora osservare pazientemente l’indecoroso spettacolo di politici ignoranti che sbraitano dagli scranni del parlamento? Possiamo ancora credere che sia inevitabile la parabola storica e politica che da Senatori del Regno come Manzoni ci ha portato ad avere Toninelli, Taverna, Bonafede, Renzi, Giuseppi, Napolitano, Mattarella? Davvero meritiamo questo indecoroso e grottesco epilogo?

E’ ora di tornare alle armi, è ora di sognare nuovamente nei cieli azzurri del mito, tenendo i piedi ben piantati a terra e con il petto gonfio di ardore. Salviamo la nostra amata Italia!

Non  a caso, il destino ci regala l’opportunità di iniziare il mese di luglio ricordando l’epica “Crociera del Decennale”, voluta dal grande Italo Balbo. 

Noi torniamo a volare sempre più in alto e, commossi d’amore per la nostra Nazione, rileggiamo gli splendidi versi del Poeta: “Non è questo ’l terren ch’i’ toccai pria? Non è questo il mio nido ove nudrito fui sí dolcemente? Non è questa la patria in ch’io mi fido, madre benigna et pia, che copre l’un et l’altro mio parente? Perdio, questo la mente talor vi mova, et con pietà guardate le lagrime del popol doloroso, che sol da voi riposo dopo Dio spera; et pur che voi mostriate segno alcun di pietate, vertú contra furore prenderà l’arme, et fia ’l combatter corto: ché l’antiquo valore ne gli italici cor’ non è anchor morto”.


Giovanni FLAMMA