FOCUS DI APPROFONDIMENTO: "IL CONCETTO DI RAZZA: TABU', IGNOMINIA O RICCHEZZA?"

Pubblichiamo, come chiusura di questo focus dedicato al concetto di "razza", un approfondimento del nostro amico Manuel Berardinucci, teso a dimostrare come il "razzismo", termine ormai abusato che i progressisti utilizzano ogniqualvolta abbiano bisogno di delegittimare un avversario, sia davvero figlio della loro "civiltà".  


Razzismo: un problema modernissimo


Il tema del razzismo è ormai socialmente pervasivo e ridondante: tutto, secondo la narrazione politicamente corretta odierna, è ascrivibile a tale fenomeno. Ogni giorno si leva un coro di indignazione contro un povero sbadato che ha osato apostrofare qualcuno ricorrendo al ceppo etnico, oppure si accusa qualche cartone animato, vecchio di 60 anni, di diffondere pregiudizi su base razziale, o ancora ci si accanisce contro nomi di prodotti alimentari criminalmente colonialisti o si censurano i versi di antichi poemi perché “islamofobi” e così via con altre amenità. Una spaventevole banalizzazione della pur seria tematica che, come sempre quando si fa leva sul sentimento della rabbia, ha causato, soprattutto negli Stati Uniti d’America e con qualche rigurgito in Europa, una serie inenarrabile di violenze, atti vandalici e deturpazioni da parte dei vari movimenti antirazzisti. A fianco di questo “braccio armato” dell’antirazzismo, è sorto quello intellettuale, noto come “cancel culture”, la cui esistenza è negata dagli stessi che anni fa spergiuravano non esistesse l’ideologia gender ed oggi vogliono imporcela per legge. Negazionisti, loro.

Sullo sfondo vi è poi il perpetuo ricordo della barbarie nazista, dei campi di sterminio e delle leggi razziali, dipinti come l’esito finale ed inevitabile di qualunque sensibilità dissenziente rispetto al canone liberaldemocratico progressista. Una strumentalizzazione indegna, che offende i morti utilizzando la loro tragedia per gretti conticini di politica contingente e i vivi, riducendo chiunque non si riconosca nella dialettica del presente a epigono dei nazionalsocialisti.

Peccato che nessun ideologismo moderno sia esente dalla macchia infamante del razzismo: non il fascismo, per quanto il suo fosse un razzismo d’importazione e d’appendice; non di certo il comunismo (l’antisemitismo stalinista aveva ben poco da invidiare a quello teutonico); tantomeno gli stati liberali, considerando che si resero vessilliferi di schiavismo e di varie forme di segregazione razziale. Il motivo è da rinvenire nella comune matrice filosofica di questi “ismi” della modernità: l’illuminismo. Basterebbe citare le innumerevoli espressioni di Voltaire contro i mulatti per comprendere la portata di quanto affermato. Espressioni, quelle del filosofo dei lumi, che se venissero riportate oggidì, procurerebbero sicuramente la censura e forse anche il carcere.

Prima della catastrofe illuminista, invece, la società europea era fortemente teocentrica e legata ai sani precetti della Dottrina Cattolica. Benché il processo di scristianizzazione abbia le sue origini già nell’umanesimo, è fuor di dubbio che il colpo di grazia a quel modello sociale lo abbiano inferto gli illuministi.

Seguendo il dogma del peccato originale e dunque del monogenismo, la Civiltà Cattolica non poteva concepire il razzismo, ritenendo tutti figli dello stesso Dio e provenienti dal medesimo ceppo genitoriale. Prova ne sia che nel medioevo, sotto impulso della Chiesa Cattolica, si procedette ad una progressiva eliminazione dell’antico lascito schiavista e del triste mercato che alimentava, definito nel 1102 dal Concilio di Londra come “nefarium negotium” (traffico infame).

Certamente, permanevano profonde differenze tra le Civiltà. Gli europei erano ben consapevoli della loro missione civilizzatrice in quanto detentori della vera fede e, innegabilmente, tendenzialmente più istruiti e progrediti dei popoli privi del Vangelo. Non era però teorizzata nessuna inferiorità congenita o genetica. Al contrario tutti gli uomini, in ogni angolo della terra, erano chiamati ad elevarsi dalla condizione di ignoranza e barbarie nella quale le contingenze storiche li avevano trattenuti. Probabilmente molti antirazzisti moderni descriverebbero tale vocazione civilizzatrice come razzista anch’essa, ma la verità è che si trattava dell’esatto rovesciamento del razzismo. Quest’ultimo infatti cataloga come biologicamente inferiori determinati popoli e quando scorge esempi individuali virtuosi li classifica come eccezioni. La tendenza civilizzatrice dell’Europa cattolica, invece, vedeva nei singoli casi lodevoli modelli da proporre al resto della popolazione per mostrarle quanto potesse elevarsi e migliorarsi.

Lo schiavismo e il razzismo si insinuarono nella mentalità europea con il costituirsi dello Stato moderno e assoluto, il quale ritenendosi svincolato dal diritto naturale e divino, pretendeva un controllo assoluto su tutto ciò che in esso era contenuto: corpi intermedi, famiglie, individui e religioni. “Tutto nello Stato, niente al di fuori dello Stato, nulla contro lo Stato” non fu, concettualmente, un’invenzione di Mussolini.

Un asiento del 1528 consentì a due tedeschi di poter commerciare nella “tratta dei negri” per conto della corona spagnola. Per la prima volta, dunque, venne codificato con un atto ufficiale la potestà di uno Stato sovrano di disporre della vita di un uomo in virtù della sua appartenenza razziale. Il cinquecento era un secolo già profondamente segnato dalla crisi religiosa, dall’avanzata dell’antropocentrismo, dalla pseudoriforma luterana e dal sorgere di teorie politiche assolutistiche e volontariste. Presentava cioè i germi dell’illuminismo e poi della Rivoluzione Francese.

Toccò proprio agli apologeti della falsa ragione dare contenuto filosofico alle istanze contrattualiste, che nel razzismo vedevano un investimento di non poco conto. Ad esempio, il già citato Voltaire sostenne che “solo per codardia o per stupidità” gli uomini possono “aver perduto la propria libertà” e dunque “non possediamo il diritto naturale di andare a mettere in ceppi un cittadino dell’Angola”, ma “ne possediamo il diritto di convenzione.” Voltaire, inoltre, accompagnato da Montesquieu e Kant, utilizzò i “selvaggi” delle terre extraeuropee come metro di paragone negativo per valutare l’inciviltà, a suo dire, dei contadini europei refrattari alla modernità. Sulle premesse dettate dall’illuminismo esplose la fiducia fideistica nelle scienze, con particolare devozione alla biologia che iniziò a formulare svariate teorie sulla superiorità e l’inferiorità di quella o questa razza, sulla base di misurazioni del cranio, dell’angolo facciale e altri aspetti meno “scientifici”. La mancanza di un’effettiva incontrovertibilità delle teorie non destava preoccupazione nelle società liberali che vedevano in tali studi la copertura “tecnica e razionale” ai loro traffici schiavisti. Un atteggiamento, in effetti, non molto dissimile da quello del potere progressista odierno, il quale si serve di fantastudi pseudo-sociologici per giustificare le proprie nefandezze.

L’evoluzionismo poi arricchì il quadro attraverso la creazione di una gerarchizzazione degli esseri umani, tra razze evolute e razze involute. A questo si aggiunse la teoria darwiniana per cui il debole è naturalmente portato a soccombere e la sua specie a scomparire ed estinguersi, secondo il principio della selezione naturale. Per quel che concerne gli uomini, però, tale processo sarebbe evitato o smorzato dal principio di solidarietà, per cui esisterebbero razze che se private dell’ausilio di altre, scomparirebbero. Da qui il passo verso la formulazione dell’eugenetica da parte di Francis Galton, cugino di Darwin, il passo fu breve.

A seguire troviamo Lombroso, poi la psichiatria usata come metro di giudizio di ciò che non risponde ai canoni prestabiliti (tendenza che permane tutt’oggi, nel voler affibbiare il termine patologico di “fobia” ai dissenzienti del pensiero unico) e il nazismo, il quale non fu altro che la fusione del razzismo biologico di matrice illuminista e positivista col nazionalismo romantico post-rivoluzionario.

Se la società moderna volesse ragionare seriamente del razzismo, delle sue cause e conseguenze dovrebbe guardarsi allo specchio e puntare il dito contro le filosofie che le diedero i natali e che invece nelle scuole e nei luoghi di cultura vengono ancora oggi elogiate e studiate con devota e ipocrita gratitudine.


Manuel BERARDINUCCI


Immagine del titolo: da https://giulianoguzzo.com/2019/11/06/razzismo-unidea-illuminista-2/