EUGENIO DI SAVOIA (1663-1736)

Moriva a Vienna, il 21 aprile 1736, Eugenio di Savoia (nato a Parigi il 18 ottobre 1663), Principe di Carignano, Feldmaresciallo del Sacro Romano Impero, Cavaliere dell'Ordine del Toson d'oro. Incarnò la vera Europa dei Popoli.


EUGENIO DI SAVOIA (1663-1736).

Difensore della Tradizione e della Cristianità

In questo particolare momento della nostra Europa in cui tutto è fuorché un’Unione, voglio ricordare Eugenio di Savoia, un mitico personaggio che ha interessato intere generazioni di storici [uno del secolo XIX è senz’altro un suo omonimo: il toscano d’adozione Eugenio Albéri (1807-1878)], di politici e di diplomatici.

Personaggio dal quale molto si dovrebbe apprendere, come accennavo poc’anzi, contro il grigiore del nostro periodo attuale.

Ma prima di delineare la figura del Nostro ritengo fondamentale ricordare la battaglia di Lepanto  in quanto è il vero e reale antefatto;  è l’inizio della decadenza della potenza ottomana, che sarà completata, come vedremo, da Eugenio di Savoia.

I fatti della battaglia di Lepanto, combattuta il 7 ottobre 1571, tra la Lega Santa comandata da Don Giovanni d’Austria (1547-1578) contro i turchi di Alì Pascià sono più che noti. L’idea di San Pio V [Antonio (Michele) Ghisleri (nato nel 1504), 1566-1572]; le trattative tra il nunzio papale ed il Re di Spagna, Filippo II (1556-1598); la sua determinante adesione; la chiamata alle armi quasi con l’antico spirito di crociata di tutti i principi europei desiderosi di apprendere l’arte della guerra: dal genovese Gian Andrea Doria (1539-1606), nipote del grande Andrea (1466-1560), dallo spagnolo Santa Cruz, dal piemontese Andrea Provana di Leynì (1511-1592), primo Ammiraglio di Casa Savoia sotto il ducato di Emanuele Filiberto (1528- 1580)  a Don Cesare Cavaniglia (+ nel 1580 ca.), comandante della flotta inviata dal Granducato di Toscana e dal S. M. O. di Ordine di Santo Stefano Papa e Martire, da Marcantonio Colonna (1535-1584) al Priore Pietro Giustiniani (1490-1576) del S. M. O. di Malta; la battaglia in se stessa; la vittoria; il giubilo dell’Europa cristiana e tradizionale.

E’ una pagina di storia da non dimenticare poiché è l’ultima, vera ed autentica crociata da tramandare.

E’ quindi codesto medesimo spirito che si incarnò in Eugenio di Savoia.

Ma, come sappiamo, Lepanto non fu la definitiva uscita di scena e la sconfitta della potenza turca. Essa fu la vittoria morale con risultati politici e materiali immediati molto modesti.

Infatti pochi anni dopo i turchi ebbero nuovamente ragione e lo spirito di San Pio V non c’era più.

La pagina di Lepanto, praticamente, rappresentò lo scontro tra due mondi e due civiltà.

E’ il significato cristiano del bene che deve emergere, cercandolo e mettendolo in evidenza!

Quando si parla di Eugenio di Savoia-Soissons, si intende delineare la figura e le gesta di un grande generale, di un moderno uomo di stato, di un politico e diplomatico finissimo, di un europeista “ante litteram”, di uno dei più grandi condottieri moderni, di un cattolico fervente, di un crociato nel suo etimo tradizionale (ispirato dalla Madonna).

Ma prima di tracciarne la biografia,  cerchiamo di inquadrarlo nell’albero genealogico della Real Casa di Savoia.

Emanuele Filiberto di Savoia, detto “Testa di Ferro”, il secondo Fondatore dello Stato Sabaudo, ebbe – come unico erede legittimo – Carlo Emanuele I (1562-1630), il quale sposò Caterina d’Absburgo (1567-1597), figlia del Re di Spagna Filippo II, dalla quale il Duca Sabaudo ebbe dieci figli: il nono di codesti, Tommaso (1596-1656) - Capostipite della Linea di Carignano ed attuale Linea principale del Casato – e dalla consorte – Maria di Soissons – ebbe, fra l’altro, Eugenio Maurizio (1633-1673), creato conte di Soissons (titolo derivatogli dalla madre), il quale, a sua volta, sposò la romana Olimpia Mancini (1638-1708), figlia di Geronima Mazarino (1614-1656) [sorella del famoso Cardinale Giulio Mazarino (1602-1661)]; da questo ultimo matrimonio nacquero ben otto figli: il quarto è il nostro personaggio: Eugenio di Savoia-Soissons.

Passato alla Storia come “Prinz Eugen”, Eugenio-Francesco, Principe di Savoia Carignano Soissons nacque a Parigi il 18 ottobre 1663.

Destinato, perché cadetto, alla carriera ecclesiastica (per questo motivo fu soprannominato “le petit abbé de Savoy”), a vent’anni, “sua sponte”, chiese udienza a Luigi XIV (1638-1715) il “Re Sole” per esporgli la sua ferma volontà di deporre l’abito talare e per chiedere il comando di una compagnia di cavalleria; la risposta del Sovrano fu un netto rifiuto, di cui più tardi il Re si pentì considerandolo il più grande errore del suo regno.

Eugenio, quindi, decise di arruolarsi volontario in un reggimento austriaco di dragoni impegnato nelle operazioni al fine di liberare Vienna dai turchi.

Iniziava così il suo “status” di Principe Imperiale, combattendo al fianco di Giovanni III Sobieskj (1624-1696) , Re di Polonia, accorso in ausilio a Vienna!

Fu la mitica prima volta che Eugenio vide la città alla quale sarà legato per tutta la vita.

Fu promosso colonnello dei dragoni, tenente generale (1687) e (1690) generale di cavalleria.

Nel 1691, dopo aver promosso l’alleanza imperiale con il re Vittorio Amedeo II (1666-1732), primo Re di Sardegna, contro la Francia, Eugenio liberò la città di Cuneo assediata.

Vienna 1697: è un altro momento glorioso della sua vita contro i turchi.

Eugenio ha trentaquattro anni e, cessata la lunga guerra tra la Francia e l’Austria, viene nominato comandante supremo dell’Armata Imperiale contro gli Ottomani che tendevano a preparare un’avanzata verso l’Occidente.

Il giorno 11 settembre, vigilia della Festa del SS. Nome di Maria, il Nostro riporta una vittoria sfolgorante contro il sultano Mustafà a Zenta, sul fiume Tibisco. Più di diecimila turchi periscono nel fiume, oltre ventimila sul campo. Le perdite dell’esercito imperiale non superano i trecento morti. Il sultano è costretto a sottoscrivere la pace di Carlowitz. Ungheria e Transilvania passano sotto la Corona absburgica.

La formidabile vittoria dette al Principe Eugenio fama europea!

Il 12 settembre, il Beato Innocenzo XI [Benedetto Odescalchi (nato nel 1611), 1676-1689] lo consacrò al nome di Maria e da festeggiarsi in tutta la Chiesa per commemorare la vittoria attribuita alla Sua intercessione; l’immagine della quale, su fondo rosso e cosparso di stelle, formava la bandiera del Re Vittorio Amedeo II, che stimava il Principe Eugenio, lo favoriva ed al quale egli si rivolgeva con la commovente inesperta fiducia dei giovani.

E fu proprio per questa fiducia ed al sacrificio di Pietro Micca (1677-1706) che Torino, il 7 settembre 1706, fu liberata da parte del Principe Eugenio.

E, in ringraziamento di ciò, venne eretta la Basilica di Superga per un voto che fece Vittorio Amedeo II alla Madonna.

Vediamo come ci si arrivò. Sul colle di Superga, esisteva, sin dal secolo decimoquinto, una piccola chiesa dedicata alla Beata Vergine o Nostra Signora di Superga. La sua fama deriva dall’intercessione della Madonna in un momento drammatico per la storia di Torino, e cioè, come abbiamo visto, il 1706.

Le sorti di Torino, assediata dai francesi, non erano delle migliori.  Il 28 agosto 1706 avvenne l’incontro tra il Principe Eugenio ed il Duca Vittorio Amedeo. I due strateghi ascesero al colle di Superga al fine di esaminare al meglio, da quell’altura, il campo di battaglia. Constatarono che lo schieramento nemico presentava diversi punti deboli nella zona tra la Dora e la Stura. Giunsero alla conclusione che convogliando gli attacchi in quella zona poteva esserci una possibilità di successo.

Alcuni storici asseriscono che Vittorio Amedeo ed Eugenio si recarono sul colle di Superga una seconda volta, e cioè il 2 settembre, e fu l’occasione in cui entrarono nella chiesetta. Celebrata la S. Messa, i due principi si accostarono ai sacramenti; si cantò solennemente l’”Ave Maris Stella”. Giunti al versetto “(…) monstra Te esse matrem”, il Duca di Savoia si prostrò ai piedi della statua (quella tutt’oggi venerata nella cappella c. d. “del voto”) e fece voto che se la Madonna gli avesse fatto ottenere la vittoria avrebbe costruito sul colle un magnifico Tempio a Lei dedicato.

Fu vittoria!!

La popolazione, venuta a sapere del voto del Duca, attribuì la stessa all’intercessione della Madonna. Ed ancora una volta, l’intercessione della Madonna fu determinante.

E’ un’intercessione che più volte, nella Storia, ci ha abituato a porre  in evidenza.

Il 7 settembre 1706, data gloriosa per Torino, è anche la vigilia del giorno 8 settembre, che la Chiesa dedica alla Natività di Maria.

Sono coincidenze o la forza mariana è immensa?

Il voto di Vittorio Amedeo ci fu sicuramente. Infatti nella parte interna della Cappella c.d. “del voto”, c’è la seguente epigrafe: "Virgini Genitrici/Victorius Amedeus, Sardiniae Rex/Bello Gallico, vovit/Et pulsis hostibus fecit, dedicavitque".

Eugenio aveva giurato che sarebbe rientrato in Francia solo con la “spada lucente”  in pugno, e non risparmiò sconfitte al Re Sole: Blenheim nel 1704; Audenarde nel 1708; Malplaquet nel 1709. Nel luglio 1710, insieme all’inglese Duca di Malborough [John Churcill (1650-1722)], espugna Tournal, la fortezza più munita di Francia, la “Maginot” dell’epoca, progettata da Sébastien Le Preste de Vauban (1633-1707) per difendere Parigi.

Ma il capolavoro militare del Principe Eugenio fu, nel 1715, a Belgrado!

In tale occasione nuovamente i Turchi tentano un supremo attacco contro l’Occidente. Questa volta il Papa è Clemente XI [Giovanni Francesco Albani (nato nel 1649), 1700-1721]. Egli si ispira ai suoi predecessori: San Pio V (Lepanto) ed Innocenzo XI (Vienna) e lancia un appello ai principi europei e cattolici per difendere la Cristianità, così come fece appunto San Pio V per la battaglia di Lepanto.

Il vincitore di Zenta riprende il supremo comando.

Eugenio di Savoia ha cinquantadue anni e lo accompagnano, come si è detto, i giovani principi di tutte le Case d’Europa per apprendere, ed al meglio, l’arte della guerra.

I Turchi assediano Peterwadein, presso il Danubio, e sono comandati dal Gran Visir in persona. La mattina del 5 agosto 1715, festa della Madonna della Neve, il Principe Eugenio offre battaglia in campo aperto ad un nemico tre volte superiore.

E’ una nuova, splendida vittoria, ed ispirata – ancora una volta – dalla Madonna.

Tutta l’Europa giubila.

A Roma, per volontà papale, furono suonate  tutte le campane ed illuminata a festa la città. Clemente XI concesse ad Eugenio di Savoia l’onore del “pileo e dello stocco” . Si trattava di una berretta e di una spada benedetta che investivano l’insignito della dignità di Generale della Santa Chiesa. Eugenio volle che codesta cerimonia si svolgesse con la massima solennità militare e liturgica. Fu l’onore più grande  che ottenne ed il più significativo.

Il 13 ottobre 1715 egli libera la fortezza di Temesvar. L’entusiasmo a Vienna sale alle stelle. La fortezza era stata nelle mani turche per ben 164 anni.

Il 22 agosto 1717 conquista Belgrado e l’imperatore d’Austria,  in tale occasione Carlo VI (1685-1740), consegna al Principe Eugenio di Savoia il bastone di Maresciallo. Tale riconoscimento segna  la nascita del detto: “che bel grado a… Belgrado”.

Il 21 aprile 1736, settantadue anni, il Principe Eugenio di Savoia Carignano Soissons moriva in Vienna nella sua residenza di Himmelpfortgasse, il Castello del Belvedere. Moriva nel sonno, lui che fu guida insonne di tante battaglie. Nessuno gli avrebbe mai preconizzato una vita tanto lunga (per l’epoca) dato il suo gracile aspetto ed una gioventù contrassegnata da malattie che aveva saputo vincere con una eccezionale vitalità ed una forza di volontà che andava oltre l’umano.

In questo aspetto egli ci ricorda un suo antenato. E’ Emanuele Filiberto di Savoia. Pure lui era cadetto e destinato alla vita ecclesiastica. Era gracile e macilento. Salì al trono ducale dello Stato Sabaudo per la prematura scomparsa del fratello maggiore Ludovico (1523-1536). Sappiamo che Eugenio prese il posto del fratello Luigi Giulio (1660-1683) (detto “il Cavaliere di Savoia”), caduto contro i Turchi e dalla parte imperiale austriaca. Ed anche Emanuele Filiberto si mise dalla parte imperiale con Carlo V (1500-1558) e regnò a lungo e con grande gloria.

Nel ricordare la scomparsa del Principe Eugenio, gli storici narrano anche un fatto, insieme misterioso e commovente: nella notte fra il 20 ed il 21 aprile 1736, in cui, come abbiamo visto, il Principe spirò, il magnifico leone del suo zoo del Palazzo del Belvedere, affezionatissimo al Nostro, fu udito ruggire a lungo lamentosamente e dalla mattina seguente non volle più prendere cibo e si lasciò morire.

Soffermiamoci ora brevemente in alcuni aspetti della vita di Eugenio di Savoia e sul significato delle sue gesta eroiche.

Eugenio di Savoia-Soissons fu, come già ricordato, un europeista, un condottiero, un mecenate, un politico finissimo, uno spirito cristiano e fu soprattutto sopranazionale quanto a “forma mentis”. Tra l’altro amava firmarsi in tre lingue: “Eugenio Von Savoy”. Disse di lui,Federico II “il Grande” di Prussia (1712-1786): “(…) se sono buono a qualcosa, se capisco qualcosa del mestiere e soprattutto di certe complicate finezze, lo debbo al Principe Eugenio; egli era l’Atlante della Monarchia, che resse con il suo genio militare e politico.”

Al riconoscimento del sovrano prussiano, a quelli dei contemporanei e dei posteri, alle opere monumentali e scientificamente rigorose a lui dedicate, alla grande stima di cui godette presso Gottfried Wilhelm Leibniz (1646-1716) e Voltaire [François-Marie Arouet (1694-1778)] è bene ricordare i giudizi di Napoleone I (1769-1821) e di Otto d’Absburgo (1912-2011), il discendente degli imperatori che il Nostro servì con tanta intelligenza e lealtà. Scrive Nicolas Henderson nella prefazione del suo “Eugenio di Savoia”, riportando un passo di una lettera di Napoleone alla prima moglie Giuseppina:  “Sette sono i grandi condottieri del mondo: Alessandro, Annibale, Cesare, Gustavo Adolfo, Turenne, Eugenio di Savoia e Federico II di Prussia”.

Ecco che ritorna qui il concetto di condottiero, nel suo etimo tradizionale.

Un giudizio limitato alle doti militari quello del Grande Còrso. Più attento a quelle politiche per Otto d’Absburgo, che limpidamente scrisse: “Guida e stratega delle grandi battaglie, in esse non si esaurì. Più importanti, infatti, ci appaiono oggi la lungimirante capacità politica, le straordinarie doti di statista che consentirono al Principe Eugenio di subordinare le azioni belliche ad una ben più ampia concezione e di porre alla politica absburgica obiettivi lontani, obiettivi senza tempo. Eugenio riuscì a scorgere, oltre i limiti della sua epoca, ciò che noi cominciamo a capire soltanto ora, provati come siamo dalle catastrofi del nostro secolo: la visione di un’Europa naturalmente unitaria pur nelle sue diverse articolazioni”.

Eugenio credeva che lo spirito prettamente europeo e cristiano si dovesse manifestare nei campi più diversi: dalla solidarietà sovrastatale delle “elites” del tempo; all’arte, che, nel Barocco, aveva trovato un’espressione così omogenea ed armonicamente articolata, da poter comprendere architettura, musica, pittura e scultura; alla costante e giusta preoccupazione di anteporre alla guerra per la guerra la ricerca della stabilità, della sicurezza, della pace europea, delle alleanze durature per equilibri duraturi.

A codesto proposito è bene ricordare che la pace… Chi la desidera? Dove vi è un uomo; dove vi è un cuore che batte, vi è un desiderio di pace. Anche chi fa la guerra non desidera altro che la pace. Celebre è (e non sta a noi commentarlo) l’assioma di colui che Dante (1265-1321)  nel IV canto dell’Inferno, verso 131, definisce “lo maestro di color che sanno” Aristotile (384 a. C. – 322 a. C.): “lo scopo della guerra è la pace”.

E San Tommaso d’Aquino (ca. 1221-1274), nella sua “Summa Theologiae” (scritta tra il 1267 ed il 1274) spiega come non vi è uomo che non tenda al bene, o meglio ad un bene, e la pace ha appunto per oggetto il bene: è il riposo delle nostre facoltà nel bene conquistato.

Ma torniamo al nostro personaggio.

Le espressioni “salvezza dell’Europa” e “sicurezza dell’Europa” ricorrono spesso nelle sue lettere all’imperatore Carlo VI dal 1712 al 1723, e questi concetti, così moderni ed attuali, sono stati predominanti nella stesura della pace di Utrecht (11 aprile 1713), di Rastadt (7 marzo 1714) e di Baden (6 febbraio 1715).

Nell’Impero egli non vedeva le nazioni, bensì la realizzazione dell’idea dell’Impero come concezione modello per l’Europa fondata sui principi comuni, quelli cristiani, sulla coesistenza di popoli diversi, su concezioni sopranazionali armonizzate con le realtà particolari di ciascun stato.

Di già Carlo V ricollegava il suo mandato sopranazionale alla concezione dell’Impero di Carlo Magno, degli Ottoni, degli Hohenstaufen, nel tentativo di indirizzare la cristianità verso un programma d’impegno comune che l’avrebbe vista mobilitata, unita e vittoriosa, come abbiamo visto, contro il Turchi a Lepanto prima, successivamente a Vienna ed infine a Belgrado.

Contro l’egemonismo ed il nazionalismo della Francia, Eugenio credette nella naturale sovranazionalità dell’Europa; ai particolarismi preferì obiettivi universali ignorando ogni mediocrità e stabilendo, anche nelle relazioni diplomatiche e quindi nelle amicizie, da Giambattista Vico (1668-1744) a  Leibniz, da Federico II il Grande all’inglese Duca di Malborough, al Voltaire, che disse di lui: “(…) scosse la grandezza di Luigi XIV e della potenza ottomana (…) governò l’impero nonostante tutte le vittorie e gli incarichi ricoperti (…) sdegnò le tentazioni del fasto e della ricchezza”,  quale confronto delle intelligenze fra uomini sostanzialmente superiori.

Egli immaginava ad una federazione di stati, ed in una sua lettera Duca di Malborough, datata 22 maggio 1717, chiaramente scriveva:  “(…) le alleanze prodotte solo dal caso o da un interesse momentaneo non ispirano grande fiducia. Ma se le potenze marittime decidono concordemente che la pace europea dipenda dall’esistenza della Germania e dell’Italia allora si puo’ dire che un interesse comune sia il momento unificatore di una confederazione di stati da cui ci si puo’ aspettare anche una buona solidità per l’Europa.”.

Nel momento in cui decise di lasciare la Francia per il rifiuto del Re Sole, si incontrò nei pressi del Danubio con l’imperatore Leopoldo I (1640-1705) ed il 20 agosto 1683, neanche ventenne, così solennemente giurò:  “Prometto la integra fedeltà costante di sacrificare in tutti, anche i maggiori pericoli della guerra, tutte le mie forze fino all’ultima goccia di sangue, per il benessere e la potenza della Sua Maestà e della somma Casa d’Austria. Dio e la Madonna me ne siano testimoni”.

Praticamente, in codesto giuramento, c’è tutta la fede ed il sacrificio del Principe Eugenio di Savoia-Soissons.

Infatti, se analizziamo le di lui origini, egli è la personificazione dell’Europa tradizionale cristiana e mariana: aveva sangue dei Borbone, attraverso l’ava paterna, ma anche sangue absburgico poiché il suo avo era nipote di Filippo II e pronipote di Carlo V.

Ancora qualche pensiero per concludere questa bella pagina di storiografia europea, cristiana e mariana.

Eugenio era un uomo solitario ed andava in battaglia indossando un’armatura bruna su panni quasi scarlatti e, dopo una brevissima preghiera, prima dell’azione, sembra gridasse “avanti”, accompagnando il grido con un unico breve movimento della mano. A codesto proposito, ho trovato, in un antico libro del Secolo XIX una nota a piè di pagina, che accenna a ciò: “(…) le preghiere che il principe Eugenio recitava prima della battaglia erano l’Ave Maria e “impone, Domine, capiti meo galeam salutis, ad expugnandos diabolicos incursus” (…)“. Quest’ultima, propriamente, nell’accingersi ad indossare l’elmo, ed è la medesima orazione che recitavano i sacerdoti nell’imporsi il paramento sacro denominato amitto, che è il “galeam salutis” cioè l’elmo della salvezza, quasi al fine di rendere invulnerabile il sacerdote nei suoi combattimenti contro l’infernale nemico. Questa preghiera, senza dubbio, Eugenio la fece sua date le origini di destinato alla vita religiosa.

Il Principe Eugenio di Savoia-Soissons è sepolto in Vienna, nella Cattedrale di Santo Stefano, come un re. Infatti anch’egli fu un re: “le roi des honnets hommes” (“il re della gente onesta”).

Il Principe Eugenio era di media statura, longilineo, con viso affilato, di colore olivastro, con naso aquilino e con occhi nerissimi e penetranti.

La Sua immagine fisica ci è giunta da descrizioni di contemporanei e riprodotta in vari quadri e sculture, fra i quali: il quadro del pittore Jacob Van Schuppen (1670-1751), conservato nella Pinacoteca di Torino, che lo raffigura sul cavallo bianco, con spada al fianco e bastone di comando, dopo la vittoria sui turchi; mentre nel quadro del pittore Jan Kupetzki (1667-1740), in cui è ritratto con corazza, e quindi quello donato dal Re Umberto II (1904-1983), il 28 febbraio 1970, al Museo “Pietro Micca” di Torino.

Sempre a Vienna, nel cuore della città, l’imperatore Francesco Giuseppe d’Absburgo (1830-1916) gli fece erigere  (1859) un monumento equestre modellato dal Anton Dominick Ritter Von Fernkorn (1813-1878) proprio di fronte al palazzo imperiale nella Heldenplaz. Vi è un monumento anche a Budapest, dinanzi all’entrata principale del Palazzo Reale ed affacciato sul Danubio. Sul basamento del monumento viennese, nelle tre targhe di bronzo, si legge:  “Al saggio consigliere di tre imperatori”, “Al glorioso vincitore dei nemici dell’Austria”, “Al Principe Eugenio, il Nobile Cavaliere”. I tre imperatori furono: Leopoldo I, Giuseppe I (1678-1711) e Carlo VI.

Una cantabile melodia, nata sul campo – durante l’assedio di Belgrado – recita: “Prinz Eugen, der edle Ritter….. (il Principe Eugenio, il nobile cavaliere…….)”.

Tuttora l’inno ufficiale della nostra cavalleria è la “Marcia del Principe Eugenio”, composta, nel 1914.

Scrive di lui un grande storico della Chiesa: “terminava la serie delle Crociate, da Goffredo di Buglione sino ad Eugenio di Savoia”.

Lo storico, generale Carlo Corsi (1826-1905)-, nel 1884, scrisse di Eugenio di Savoia che “(…) sovrastò gli altri Capitani dei suoi tempi per l’ingegno strategico e per la severa osservanza della militare disciplina. Tolse regola a’ suoi atti dalle qualità del terreno e del nemico e fu altrettanto pronto e vigoroso nell’eseguire quanto audace nell’immaginare, sicchè potè condurre a buon esito imprese che apparvero temerarie (…) Lo si addita come sommo nel condurre le marce e nello scegliere il punto ed il momento opportuno per gli assalti decisivi. Oltre la nobiltà del sangue e dei modi, concorsero a procacciargli il rispetto e la devozione dei capi e delle milizie la severità dei costumi, la maestà della parola ed il freddo coraggio veramente meraviglioso, ch’era attestato dalle ferite toccategli in tredici battaglie.

Ed ancora, il poeta e drammaturgo austriaco Hugo von Hoffmannsthal (1874-1929), nel 1914, scrisse di lui, fra l’altro, parole divenute  famose: “(…) rimanere alla testa di un esercito, come egli rimase, conducendolo a battaglie e poi ancora a battaglie, ad assedi e poi ancora ad assedi, per trentanove anni. Tirarlo fuori dal fiume Sava, condurlo in Lombardia e poi indietro, attraverso il Tirolo verso la Baviera e sul Reno e poi di nuovo giù nel Banato e su, un’altra volta, nelle Fiandre. Cadere ferito per tredici volte e poi di nuovo sul cavallo, di nuovo in tenda, di nuovo in trincea. Ed i suo sguardo d’aquila su tutto, sull’esercito e sulle salmerie, sull’artiglieria e il territorio e il nemico. E la brevissima preghiera prima dell’azione” come prima abbiamo ricordato  “quel di lui Mon Dieu!, con uno sguardo verso il cielo, eppoi il segno Avancez!, con un unico breve movimento della mano. Spingere tutto ciò, sempre avanti, con la sola forza della volontà. E mantenere ogni cosa in vita, imporre tutto con forza vitale, compensare, nutrire, penetrare tutto col suo spirito, e per trentanove anni. Quale fatica d’Ercole!.

Il filosofo francese Jean-Jacques Rousseau (1712-1778) giudicò Eugenio di Savoia: “(…) un filosofo guerriero, che considera con indifferenza la sua dignità e la sua gloria, discorre degli errori che ha commesso con la massima schiettezza, come se parlasse di un altro e che è più caldo ammiratore delle altrui virtù che delle proprie.

Il Principe Eugenio, nel corso del lungo esilio dei nostri Sovrani, fu ricordato almeno due volte, ed a Vienna. La prima fu nel 1963, Terzo Centenario della nascita, alla presenza del Principe Adalberto di Savoia-Genova, Duca di Bergamo, (1898-1982), in rappresentanza del Re Umberto II, e la seconda nel settembre 1986, duecentocinquantesimo anniversario della scomparsa, alla presenza del Principe Vittorio Emanuele di Savoia, ci si è recati nel Duomo di Santo Stefano nella Cappella dedicata al Nostro, e dove si è provato, innanzi all’”urna” del “forte” Eugenio, una rinnovata patriottica scintilla foscoliana.

Sulla vita privata del Principe Eugenio di Savoia, ben poco si conosce. Possiamo dire solo che era un uomo occupatissimo, modesto nel vestire – solitamente indossava una giubba di panno scuro, senza distinzioni – non si sposò e non si creò una propria famiglia. Ma un unico fatto conosciuto, che dia la sensazione di un omaggio profondo e duraturo alla Femminilità, è la sua lunga, costante, palese amicizia con la contessa Lori (Eleonora) Batthyani, splendida dama e gentildonna di grande intelligenza e di eccezionale cultura, alla quale il Principe rendeva visita nel di lei palazzo in Vienna, e ciò anche il 20 aprile 1736, ultima sera della vita del Nostro.

Non abbiamo altresì accennato a’ diversi e multiformi aspetti della sua vita pubblica, ma solo e soltanto sottolineato i maggiori titoli della sua grandezza: la difesa dell’Impero, dell’Europa e della Civiltà Cristiana. Grandezza che trae la sua fonte dalla lotta, dal sacrificio, da una forza messa al servizio dei grandi ideali. Se questi ideali non sono morti, se vera grandezza fu quella di Eugenio, non sarà grandezza, non sarà nobiltà, non sarà eroismo, quello di chi, confidando nell’aiuto di Dio, vorrà dedicare le sue energie a difendere anche oggi, nel Terzo Millennio dell’Era Cristiana, l’Europa e la Civiltà Cristiana dai suoi nemici, in una lotta che non è militare, ma prima di tutto ideologica e morale?

L’Europa del Nostro era romana, cristiana e libera in campo politico, militare, scientifico, letterario ed artistico in un’epoca in cui – fra l’altro – netta era ancora la distinzione fra il bene ed il male, fra le virtù ed i vizi e fra la verità e la menzogna.

Ed Eugenio è la personificazione di ciò!

Eugenio, il grande “defensor christianorum” – emulo dei grandi da Lepanto a Belgrado (vittorie tutte ispirate dalla Madonna, come più volte abbiamo detto e scritto) – solo con la sua fede in Dio e nella Madonna potè arrivare a tanto e fare tanto per la Chiesa e contro gli infedeli. Egli è la personificazione dell’uomo che respinge la tentazione della mediocrità e della resa per la resa e pone innanzi a tutto la fedeltà, il dovere, il sacrificio e la lotta.

Rodi, Lepanto, Vienna, il filo conduttore è sempre lo stesso: combattere, in nome di un’ispirazione, il male e gli infedeli.

Eppoi la visione dell’Europa che il Principe Eugenio ha ispirato (per il futuro), si è concretizzata nel 1989 con la caduta dei regimi estranei che da oltre quarant’anni imperversavano nell’europeissimo est europeo.

Ed ecco che si torna a parlare di Monarchia: di sentimenti tradizionali, di interesse per le nobili figure dei Re: Michele (1921-2017) per la Romania, Simeone (1937- ) per la Bulgaria. Si torna a parlare di Monarchia nei paesi che, fino al 1918,  erano il cuore dell’Europa tradizionale e sopranazionale.

Perché coloro che hanno redatto la Costituzione Europea - solennemente sottoscritta a Roma il 29 ottobre 2004 - non hanno tenuto conto nel c.d. “Preambolo” di questi valori?

I valori cristiani e tradizionali che hanno rappresentato, che rappresentano e che rappresenteranno il nostro Continente.

I valori fatti propri da Eugenio.

Valori, come ho già detto, che poi sono gli stessi da Lepanto in poi.

In ogni epoca, come abbiamo ampiamente visto e commentato, l’umanità ha dovuto combattere contro il c.d. “male”, che potevano essere i barbari nell’antica Roma, gli infedeli ai tempi delle Crociate, la cupidigia, che sotto l’allegorica forma di una lupa, Dante, nella sua “Commedia” al Canto I dell’Inferno, 100-102, di essa dice:

Molti son li animali a cui s’ammoglia,

e più saranno ancora, infin che ‘l Veltro

verrà, che la farà morir con doglia.

E’ una profezia “ante eventum”, l’unica tale nella Divina Commedia.

Sarà venuto codesto “Veltro”.

Con una libera interpretazione potrebbe essere stato Eugenio di Savoia Carignano Soissons?

Ed egli aveva tutte le credenziali per esserlo.


Gianluigi Chiaserotti 

Ritratto equestre in armatura del principe Eugenio di Savoia
di Johann Gottfried Auerbach, 1725

Stemma del Principe Eugenio di Savoia







In copertina, Eugenio di Savoia ritratto da Jacob van Schuppen nel 1718. Oggi questo dipinto è conservato al Rijksmuseum, Amsterdam,