11 FEBBRAIO 1918: CENTROTRE' ANNI DALLA "BEFFA DI BUCCARI"

Pochi mesi prima della fine della Grande Guerra, un manipolo di intrepidi Eroi assaltò, nottetempo, la base austro-ungarica di Buccari, ridestando l'ardore della Nazione.

 

Nella notte tra il 10 e l’11 febbraio 1918 tre motoscafi MAS assaltavano alle due di notte un gruppo di navi austriache, ad otto mesi dalla resa degli Imperi centrali. L’azione temeraria ed impavida degli intrepidi eroi italiani risuonò come un’adunata nella coscienza di una nazione ancora demoralizzata dalle catastrofi di Caporetto e Lissa. Fu questo il vero successo dell’impresa di Buccari, un risultato che fu il suono di corno per la carica italiana a Vittorio Veneto.

Buccari, sita nell’attuale Croazia a pochi chilometri dall’irredenta Fiume, era un porto rientrante nei confini dell’Impero austro-ungarico, racchiuso in una baia ristretta e circoscritta da due promontori. Essa costituiva insieme a Pola una delle più importanti basi navali austriache sulla costa adriatica.

Il 10 gennaio 1918 l’ammiraglio Casanova, responsabile e comandante della base navale italiana, di stanza a Venezia, dopo il successo della precedente operazione a Pola, emanò ordini precisi e repentini sull’importanza di un’immediata azione navale su Buccari, da svolgersi quella stessa notte. Le previsioni meteorologiche si rivelarono inclementi, costringendo il comando a rinviare l’operazione fino al 4 febbraio, quando un volo ricognitivo di idrovolante sulle città di Pola, Fiume e Buccari segnalò la presenza di quattro vascelli imperiali nella baia di quest’ultima. L’occasione era troppo propizia e ghiotta per poter essere rimandata. Il tempo di quella settimana si preannunciava favorevole per la riuscita dell’imminente operazione, sicché tra il 7 e l’8 del mese venne ratificato l’ordine esecutivo per l’azione d’assalto tra il 10 e l’11 febbraio. Le unità scelte furono i Motoscafi Armati Siluranti, siglati MAS 94, MAS 95 e MAS 96. Furono così istituiti tre gruppi di supporto e traino, uno per ciascun MAS, consistenti in cacciatorpediniere agili e manovrabili e natanti esploratori, rispettivamente comandati dai capitani di fregata Pietro Lodolo (1°gruppo), Arturo Ciano (2°gruppo) e dal capitano di corvetta Matteo Spano (3°gruppo).

In ulteriore ausilio il comando predispose alcuni sommergibili a debita distanza, per intervenire nel caso l’urgenza lo richiedesse: uno intorno all’area di Pola (sommergibile F5) ed uno intorno a capo Promontore, a sud (sommergibile F3).



Gli eroi della spedizione a bordo dei MAS furono Luigi Rizzo, Costanzo Ciano ed un immancabile, instancabile e fervente Gabriele D'Annunzio.

Ciò che avvenne in seguito pareva militarmente mistico e surreale: intorno alle 22.00 i MAS partiti da Ancona insieme alla flottiglia furono sufficientemente vicini alla costa croata per essere sganciati. Essi proseguirono verso la baia in una pericolosissima azione di avvicinamento transitando occultamente davanti alla batteria armata di Porto Re. Ad un miglio dalla costa, gli incursori spensero il motore a scoppio innescando la turbina elettrica, silenziosamente letale e reattiva. Penetrarono in profondità nella baia di fronte alle cieche difese austriache, come se un alone misterioso avvolgesse la loro azione, individuando i quattro obiettivi segnalati: tre piroscafi mercantili ed uno passeggeri. Arrivati a tiro, vennero sparati circa sei siluri di cui solo uno esplose, segno che il naviglio era protetto dalle reti anti-siluro. Il colpo che arrivò a destinazione fu sparato per secondo; il primo riuscì a bucare la rete mentre il secondo la oltrepassò attraverso il buco, per esplodere all’impatto con la nave nemica.

L’esplosione provocò l’immediato allarme della base austriaca: allarme che prese ad echeggiare per tutto il golfo come grido d’aiuto disperato, ed anche come rimprovero verso coloro che non si erano accorti degli incursori. Gli eroici MAS presero subito la via del ritorno, eludendo nuovamente la sorveglianza austriaca, ritrovandosi nel punto convenuto con le unità ausiliari e rientrando ad Ancona.

Prima di lasciare le acque nemiche, D'Annunzio gettò in mare diverse bottiglie recanti un messaggio tanto canzonatorio quanto minatorio. Esso recita:

In onta alla cautissima Flotta austriaca occupata a covare senza fine dentro i porti sicuri la gloriuzza di Lissa, sono venuti col ferro e col fuoco a scuotere la prudenza nel suo più comodo rifugio i marinai d'Italia, che si ridono d’ogni sorta di reti e di sbarre, pronti sempre a osare l'inosabile.
E un buon compagno, ben noto - il nemico capitale, fra tutti i nemici il nemicissimo, quello di Pola e di Cattaro - è venuto con loro a beffarsi della taglia.



Il Risultato

L’azione fu materialmente e militarmente irrilevante e scarsamente riuscita, visto che fu danneggiata appena una nave e nemmeno militare; ebbe però una risonanza propagandistica immensa, e questo fu il miglior risultato ch’essa, così intrepida e beffarda, avrebbe mai potuto conseguire.

Il Regno d’Italia si baloccò così del possente gigante in rovina, umiliandolo con una delicata minaccia, come a voler dire:

“State in campana, come siamo arrivati qui sotto al vostro naso oggi, potremmo rifarlo in futuro ed arrivare a Vienna senza che nemmeno vediate la bianca croce del Re volare sulle vostre teste.”

L’acronimo “MAS” dei motoscafi venne ribattezzato da Gabriele D'Annunzio in Memento Audere Semper. L’importante presenza di un “gigante” come D'Annunzio, che sembrava avere ormai un conto personale aperto con l’Impero, fece sì che la risonanza delle gesta si spingesse oltre l’insperato, nuocendo ai già avviliti umori austriaci: le pesanti ombre del passato sofferto avevano ormai risollevato l’animo del popolo e dei soldati d’Italia al fronte del Sacro Piave.

Fu come una trasfusione indispensabile e vigorosa, in un’Italia ferita e sanguinante che al fronte ancora combatteva per la Sua unità.

Dopo l’impresa di Pola e quella di Buccari, che somigliava sempre più ad un provocatorio bluff, apparve sempre più che i soldati e l’opinione pubblica si erano dimenticati delle ferite di Caporetto e Lissa. Il Piave si tramutò da linea difensiva a linea offensiva, sicché si sarebbe giunti alla gloriosa vittoria del Regio Esercito a Vittorio Veneto.

Buccari fu la grande vittoria simbolica di fronte alla cieca sicurezza del nemico.


Nikolas COMETTI

Il "Barone rosso - Prussiano del Piemonte"