RICORDO DI ALFONSO MENNA

In memoria di Alfonso Menna (Domicella, 22 gennaio 1890 – Salerno, 11 aprile 1998), politico italiano, alto funzionario della pubblica amministrazione, dapprima Commissario Prefettizio di Battipaglia durante il Ventennio (e protagonista della fondazione della città dal maggio del 1929 al novembre del 1931), quindi sindaco di Salerno per un quindicennio, dal 10 luglio 1955 al 19 ottobre 1970, infine presidente dell'Istituto per lo Sviluppo Economico dell'Italia Meridionale (ISVEIMER), l'ente creato con Regio Decreto nel 1938. Con Menna la città Salerno diventò simbolo del "miracolo italiano", dove tutto funzionava, nonostante le ferite della guerra e dell'alluvione del '54. "Don Alfonso", come veniva chiamato affettuosamente dai suoi concittadini, è stato un amministratore pubblico di lungo corso, onesto, uomo di profonda cultura, oratore brillante. Fra le opere realizzate sotto il suo governo si ricordano il recupero del Castello di Arechi, del Forte La Carnale, numerose iniziative di verde pubblico in città e rimboschimento delle colline che la sovrastano proprio per prevenire nuove frane ed alluvioni, allargamento del Lungomare di Salerno, ridisegno di piazza della Concordia con il Monumento al Marinaio di Salerno, rettifica dei confini con Vietri sul Mare e Pellezzano, e, soprattutto, la "battaglia" per l'Università cittadina e per la sua locazione in città.


Il ricordo tracciato dall’illustre giornalista amalfitano Gaetano Afeltra:

“E’ scomparso a Salerno all’età di 108 anni Alfonso Menna, sindaco della città per quindici anni. Nel 1954, quando un nubifragio colpì in modo drammatico quella parte del Sud, la sua opera di soccorso suscitò l’ammirazione del Paese. Menna riuscì a trasformare una disgrazia in un’occasione per salvare la sua città dalla depressione. Ci riuscì rianimandola al punto di farla denominare la “Torino del Sud”, unica città che offriva lavoro ai disoccupati delle zone limitrofe. Nel corso degli anni le sue benemerenze sono state tante, ma a me è caro ricordare un episodio della sua vita dove rifulge il rispetto, la gentilezza e la nobiltà del suo cuore. Lo sbarco alleato a Salerno avvenne l’8 settembre del 1943. Dopo, da Pescara, arrivò anche Badoglio col suo governo. Arrivò anche il re. Era ospite a Vietri sul Mare, sopra Raito, nella villa dell’ambasciata Guariglia. La mattina presto si vedeva spesso Vittorio Emanuele con il cappello di paglia a larghe tese andare a pescare con la lenza in compagnia di un vecchio pescatore. Le rare volte che passeggiava nei dintorni della casa in compagnia della regina Elena, tanto più alta e maestosa, il re appariva cupo. La loro vita era modesta non solo per le circostanze difficili ma anche per vecchie abitudini di parsimonia. Pure la mensa era frugale. A quel tempo Menna era commissario per l’alimentazione. Ogni giorno a Villa Guariglia arrivava una cassetta di frutta e di verdura: roba semplice, arance, limoni, patate, cicoria, insalata. Un’attenzione che il commissario all’alimentazione riservava ai sovrani, in un’ora in cui la loro stella era già’ al tramonto. Ogni due o tre giorni, con la cassetta di frutta e verdura c’era anche un mazzo di fiori: omaggio discreto di Menna alla regina. Fino allora Menna non aveva mai avuto rapporti diretti con i sovrani: i ringraziamenti gli giungevano attraverso un ufficiale. Un giorno, invece dell’ufficiale arrivò un gentiluomo di corte: il re e la regina avrebbero avuto il piacere di ringraziarlo di persona. Menna stesso mi raccontava: “Andai a Villa Guariglia col mio abito migliore. La regina mi venne incontro lentamente, con un lieve sorriso. Mi colpì la tristezza pensierosa di quel volto e mi sorprese che avesse le mani ruvide come quelle di una donna abituata ai lavori domestici. Erano mani che sembravano rivelare carattere, orgoglioso ma umile. Mi disse: “Mio marito e io sappiamo delle sue premure e vogliamo ringraziarla”. Mi regalò un paio di gemelli d’oro, con lo stemma dei Savoia, proprio gli stessi che portavano i gentiluomini di corte. Poi mi accompagnò dal re e si ritirò. “Mi apparve un viso emaciato, vecchissimo, come segnato da un’angoscia al di sopra di ogni capacità di sopportazione. Il re indossava una giacca da camera di raso verde scuro. Quando entrai si alzò di scatto dalla sedia e girò intorno alla scrivania con passi brevi e nervosi, venendomi incontro. Mi strinse la mano, dicendo “Grassie! Grassie!”, in piemontese. Nient’altro. E ancora “Grassie, grassie!”, sei, sette volte. Poi, silenzio. “Era una situazione imbarazzante. Sul tavolo di lavoro vidi un foglio scritto a metà’. Accanto c’era una piccola pila di fogli uguali, con lo stemma di Casa Savoia, zeppi di scrittura fitta e minuta. Gli chiesi se era vero che stava scrivendo le sue memorie. Rispose a voce bassissima, quasi farfugliando: “Si’, scrivo, scrivo da mattino a sera…”. Il tutto durò pochi minuti. Tanto che non mi invitò neanche a sedermi. Alla fine mi congedò, ripetendo ancora “Grassie, grassie di tutto”.


Da https://www.dentrosalerno.it/2023/06/16/salerno-compleanno-piu-che-storico-106-candeline-di-alfonso-menna/



Chi era Alfonso Menna, il "papà" di Battipaglia

«Battipaglia, elevata in comune, inizierà la sua nuova vita, e, sotto l’Egida del Littorio, contribuirà, con quella tenacia che è caratteristica dei rurali, 

alla costruzione dell’edificio al cui vertice è la redenzione economica della Patria».

Sono le righe conclusive della relazione “Per la elevazione di Battipaglia a Comune”, a firma di Alfonso Menna, il “padre” della nostra città. Trenta pagine in cui sono custodite le motivazioni dell’autonomia amministrativa della frazione di Battipaglia in relazione agli sviluppi della bonifica della Piana. Motivazioni che hanno portato alla fondazione del Comune che oggi, grazie anche all’impegno di Menna, si appresta a celebrare il compimento del suo 90esimo anno di vita.

Alfonso Menna nacque a Domicella, nell’Avellinese, il 22 gennaio 1890 e morì a Salerno l’11 aprile 1998 all’età di 108 anni. Dapprima segretario comunale, poi politico e alto funzionario della Pubblica Amministrazione, a lui si deve la fondazione della città di Battipaglia, che guidò come Commissario per l’Amministrazione provvisoria dalla costituzione del Comune, nel 1929, fino al 1931, quando gli successe Mario D’Elia.

Durante l’alluvione del 1954 si guadagnò simpatie trasversali per ceto sociale e parte politica con il suo energico contributo nel soccorrere la popolazione, che gli valse la decorazione di Grande Ufficiale Ordine al Merito della Repubblica Italiana (1958). Nel 1956 fu eletto “a sorpresa” sindaco di Salerno (Democrazia cristiana), nonostante un serio problema di salute lo avessero tenuto lontano dalla città e dalla campagna elettorale.

Restò primo cittadino fino al 1970 e a lui è legata una fase di splendore per Salerno, grazie a opere importanti come il recupero del Castello Arechi e il rimboschimento delle colline per prevenire nuove frane e alluvioni. Con Menna sindaco, Salerno fu soprannominata la “Torino del Sud”, perché offriva lavoro ai disoccupati delle zone limitrofe.

Nel 1968 fu anche insignito della Medaglia d’oro al merito civile in quanto «poneva le sue eccezionali capacità di amministratore e di organizzatore al servizio della collettività, promuovendo e potenziando, con feconda continuità, ogni iniziativa volta al processo di rinnovamento del Mezzogiorno ed allo sviluppo sociale ed economico della città di Salerno.»

Ma per noi battipagliesi resta prima di tutto il “fondatore” della città, colui che seppe dare dignità alle istanze di autonomia della popolazione battipagliese, nonché il suo primo vero “Sindaco”. Una figura che, rileggendo la relazione redatta ormai 90 anni fa, ci lascia ancora moniti fortemente attuali.

«Alla bonifica fisica dovrà seguire quella delle menti […] a dare premurosa azione per quello affiatamento che è indispensabile fra gli artefici della stessa nobilissima arte, 

fra i fratelli della stessa categoria, e che assicura consentimento di animi e collaborazione nelle opere di bene».


Da https://www.battipaglianews.it/cultura-sociale/storia/i-90-anni-di-battipaglia/chi-era-alfonso-menna-il-papa-di-battipaglia/



Battipaglia - Le origini

Nata come "colonia agricola" nel 1858 all'indomani di un violento terremoto che colpì il Vallo di Teggiano e la Basilicata, Battipaglia divenne Comune autonomo con Regio Decreto del 28 marzo 1929. Il nome dell'abitato, spesso unito a quello di Castelluccio, è tuttavia, di origini molto antiche, come testimoniato dalla sua menzione per la prima volta in un documento di Roberto il Guiscardo del 1080 d.C. in cui si confermava alla Chiesa di Salerno il possesso dei beni fra il Tusciano ed il Sele, ed in un successivo documento del 1092 d. C., quale soprannome di una famiglia che abitava sulle rive del Tusciano.

Nel XIII secolo l'importanza di Battipaglia crebbe notevolmente, come scrive Alfonso Menna, il vero fondatore della Città, colui che fu il promotore delle ragioni dell'autonomia amministrativa della frazione di Battipaglia in relazione agli sviluppi della bonifica della Piana, e che il 19 Aprile 1929 fu nominato Commissario per l'Amministrazione provvisoria del Comune.

Battipaglia "primo comune rurale creato dal Regime nel Mezzogiorno d'Italia" può considerarsi come "città nuova" nel contesto delle operazioni di bonifica intraprese intorno agli anni Trenta all'interno di un progetto volto a fondare nuove città con massicci trasferimenti di popolazioni da altre regioni e territori. Dopo la sua elevazione a Comune autonomo ebbe una propria sede municipale (in P.zza Duchessa D'Aosta oggi P.zza della Repubblica) con strade interne ed esterne, uffici e servizi amministrativi, polizia urbana e scuole primarie (l'edificio della scuola De Amicis fu costruito nel 1931-1932).

Distrutta quasi completamente dai bombardamenti anglo-americani del 1943, in cui persero la vita 117 civili, Battipaglia fu ricostruita in tempi brevi, grazie alla tenacia dei suoi abitanti e alle risorse del territorio. Di questi terribili eventi preziose sono le testimonianze della "Cronaca della Casa" degli Stimmatini, primi a prestare opere di soccorso ed assistenza. "Terra Promessa", a cui affluirono sempre più numerose dall'entroterra correnti migratorie, nel miraggio di un lavoro, conobbe un incredibile incremento demografico tra il 1951 eil 1960, superando più del doppio quello del vicino comune di Eboli, di cui era stata frazione.

Da colonia agricola a comune rurale, a città nuova, nel 1960 Battipaglia divenne polo di sviluppo industriale.

Alle tradizionali industrie di trasformazione dei prodotti agricoli, si affiancarono industrie siderurgiche e di apparecchiature elettriche a ciclo continuo.

In linea con i tempi , si guardò alle trasformazioni dell'età post-industriale, con insediamenti ad alta tecnologia, dai cavi elettrici alle fibre ottiche, alle telecomunicazioni.

Venne realizzandosi, nel territorio di Battipaglia, "una felice coesistenza di poli agro-alimentari, collegati alla vocazione agricola della Piana del Sele e produzioni ad elevato contenuto tecnologico, con un denominatore comune, rappresentato dall'innovazione e dal miglioramento continuo".

Nel 1986 Battipaglia fu segnalata tra i cento comuni di Italia che, per il progresso economico e civile conseguito, avevano contribuito a rendere più grande l'Italia nella storia dei quarant'anni della Repubblica.

Battipaglia rappresenta "una storia per molti versi emblematica di un lungo ed arduo cammino contrassegnato dalla tenace laboriosità di generazioni e generazioni, che hanno saputo costruire con il lavoro ed il sacrificio una società e un piccolo mondo fondati sul progresso economico civile".

Il 13 marzo 2006 il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi ha conferito alla nostra città la Medaglia d'Argento al merito civile con la seguente motivazione:

"Centro strategicamente importante del Mezzogiorno durante l'ultimo conflitto mondiale fu sottoposto a violentissimi bombardamenti alleati che procurarono 117 vittime civili, la quasi totale distruzione dell'abitato e delle infrastrutture e danni ingentissimi al patrimonio industriale. Luminoso esempio di spirito di sacrificio e di amor patrio".


Da http://www.comune.battipaglia.sa.it/le_origini



Sul sito http://avalancheday.org/archivio-digitale-documenti/ possibile consultare il Decreto Prefettizio per la nomina del dott. Menna a Commissario del Comune di Battipaglia 16 aprile 1929, la relazione "Per la elevazione di Battipaglia a comune" redatta da Alfonso Menna nel febbraio 1929 (per promuovere la scelta di creare un ente ammnistrativo che si occupi della gestione, anche politica, del territorio della piana del Sele in precedenza sotto la giurisdizione dei Comuni di Montecorvino Rovella ed Eboli) e il Regio Decreto per la creazione del Comune di Battipaglia 28 marzo 1929. 



Vedasi anche "Italiani di ieri, per ricostruire l'Italia di domani" a cura di Gian Paolo Manzella, in "Rivista giuridica del Mezzogiorno", a. XXXVI, 2022, n. 3. 



Menna, «un uomo semplice fatto per le cose difficili»

Alfonso Menna (Domicella 1890 – Salerno 1998) è stato il sindaco che con le sue scelte urbanistiche, sociali ed economiche ha maggiormente cambiato il volto della nostra città, collocandosi per l’autorità e prestigio con cui tenne la carica accanto ad un’altra mitica figura, quella di Matteo Luciani. Personaggio di grande carisma, fu sindaco di Salerno, efficiente ed energico – proverbiale la sua inesauribile capacità di lavoro – amato e detestato, dal 10 luglio 1956 al 1970, raccogliendo consensi elettorali plebiscitari. Ricoprì anche numerose cariche di prestigio: fu presidente della nascente Asi e dell’Isveimer (Cassa per il Mezzogiorno) per undici anni e mezzo, rivestendo inoltre ruoli importanti nella Camera di commercio, industria e artigianato, nell’Istituto autonomo case popolari, nei Consorzi di bonifica, nell’Ente di riforma per l’assegnazione dei fondi agricoli della Piana del Sele. 

Iniziò la sua attività amministrativa come vice segretario ragioniere al Comune di Sarno; trasferito poi a Salerno, raggiunse il vertice della carriera con la qualifica di segretario generale di prima classe, succedendo a Filippo Scaraffia. Il suo primo incarico importante fu quella di commissario prefettizio a Battipaglia, dove s’adoperò per elevare la città a Comune affidando al professor Pasquale Carucci il compito di effettuare ricerche storiche intorno alle sue origini. Dopo sette giorni la relazione era già pronta, consegnata al prefetto De Biase, e da questi inviata al ministero. Con Regio decreto del 29 marzo 1929, Battipaglia diventava Comune autonomo, costituito da parti dei territori di Eboli e Montecorvino Rovella. Negli anni in cui restò a Battipaglia, il giovane Menna fece costruire il municipio, il primo edificio scolastico, la fognatura, l’acquedotto e le strade di bonifica. 

Per i brillanti risultati conseguiti e l’efficienza dimostrata, fu inviato in seguito dal prefetto Domenico Soprano per tre anni ad Eboli ad organizzare i servizi comunali. Con l’avvento del fascismo, come molti dipendenti statali, fu costretto ad iscriversi al partito “senza entusiasmo”, ricoprendo la carica di segretario dell’Opera Nazionale Maternità e Infanzia. Mario Iannelli, podestà dal 1931 al ’35, prima di partire per Roma, dove era stato nominato sottosegretario ai Trasporti, lo elogerà pubblicamente ed in seguito, per la sua onestà e discrezione, lo vorrà con sé nella capitale. Di lì a poco, riceverà l’incarico di responsabile per Salerno e provincia della “Sepral”, l’organizzazione per i servizi di alimentazione. 

Poi la guerra e il trasferimento a Napoli a dirigere i servizi per l’alimentazione, incarico che mantenne anche con l’arrivo degli alleati. Rientrato da Napoli, Menna riprenderà il suo posto di segretario generale del Comune di Salerno, mantenendo al tempo stesso l’incarico di direttore dei servizi di alimentazione... Nelle caotiche giornate dell’occupazione alleata, Menna fu accusato dai suoi denigratori di profitti di regime e costretto a presentarsi davanti all’Alto Commissariato per la punizione dei delitti del fascismo, che aveva la sede a palazzo Edilizia. Ma la testimonianza dell’arcivescovo Monterisi, “Menna è il più grande galantuomo che io abbia incontrato in tutta la mia vita”, pose fine alla vicenda. Quando nel marzo del ’44 Salerno venne coperta da una pesante coltre di cenere e lapilli, proveniente dalla violentissima eruzione del Vesuvio – sarebbe stata l’ultima – Menna ebbe l’intuizione di utilizzare i materiali lapidei e le macerie dei bombardamenti per prolungare il lungomare, che allora arrivava alla Provincia, fino alla futura piazza della Concordia. Comunicò subito l’idea di creare giardini a mare all’ingegner Camillo Tizzano, direttore generale del Ministero dei Lavori pubblici, suo amico di vecchia data, che con un escamotage riuscì a trovare i fondi per l’opera. 

Lo troviamo ancora in prima linea nella tragica notte fra il 25 e il 26 ottobre del ’54, quando la natura scatenò la sua furia selvaggia su Salerno e la Costiera amalfitana, Cava de’ Tirreni, Vietri e Nocera Inferiore, facendo oltre trecento morti, diecimila senza tetto e danni per cinquanta miliardi. A quei tempi, Salerno era priva di una guida amministrativa, in quanto il Consiglio comunale era stato sciolto nel 1953 e il commissario prefettizio Lorenzo Salazar risiedeva a Napoli (raggiungerà la città dopo tre giorni). Ancora una volta Menna si trovò ad essere protagonista, suo malgrado. I vigili del fuoco lo andarono a prendere con un autocarro nella sua abitazione di palazzo Medici e lo accompagnarono al Municipio, dove si mise alacremente all’opera per organizzare i primi soccorsi. Il prefetto Lorenzo Mondio, che si era insediato solo ventiquattr’ore prima, non conoscendo la città, si affiderà completamente a lui. Per l’opera svolta in quella drammatica circostanza, nel 1968, verrà insignito della medaglia d’argento al merito civile. Nel 1956, su espresso invito del vecchio arcivescovo Demetrio Moscati, Menna si candidò alle elezioni nelle liste della Democrazia Cristiana, che per la prima volta conquistò la maggioranza relativa. Pur non avendo potuto partecipare a gran parte della campagna elettorale a causa di un grave infortunio che lo trattenne in ospedale a Roma, ottenne 7.046 voti contro i 4.713 del leader Carmine De Martino e diventò sindaco a capo di una giunta monocolore Dc, sorretta dai voti socialisti e l’astensione comunista. Fu il primo esperimento di centro sinistra in Italia. Il neo sindaco prese in mano le redini di una città sconvolta dalla guerra e dal nubifragio, con numerosi, urgenti e gravi problemi da risolvere: la ricostruzione, la disoccupazione, l’edilizia scolastica, la ristrutturazione degli uffici e dei servizi pubblici. L’attivissimo primo cittadino, sia pur con gli scarsi strumenti amministrativi a disposizione, si prodigherà per migliorare la “qualità della vita” dei suoi concittadini, cercando di avviare a soluzione il problema più impellente e drammatico, quello di dare una casa ai senzatetto, che temporaneamente erano stati trasferiti in strutture di fortuna a Mariconda. Alla cura dell’Orfanatrofio “Umberto I” Menna profonderà gran parte delle sue energie; era la sua seconda famiglia. Ogni giorno, domeniche comprese, era presente nell’Istituto, per rendersi conto di persona delle necessità dei “suoi ragazzi”. Per “i figli di Salerno”, così li chiamava, e per raccogliere i mezzi necessari per il loro sostentamento, promosse manifestazioni di carattere culturale e artistico e avviò richieste di aiuti a ditte e a persone abbienti della città. “Soltanto l’amore paterno ed il lavoro insonne del nostro presidente – scriverà il dottor Umberto Scarpetta – hanno potuto realizzare un’opera che rimarrà nella storia della pubblica beneficenza, quale esempio unico e non ripetibile di amore per i diseredati, verso i quali la sorte è stata matrigna”. 

Don Alfonso amministrerà questa istituzione dal 1950 fino al giugno del 1981, trasformando l’antico e famigerato “Serraglio” borbonico in un istituto moderno, dal quale sono usciti valenti musicisti, apprezzati tipografi, grafici e ceramisti. Quando nel 1969 gli verrà conferita la medaglia d’oro al merito civile, Menna sceglierà per la cerimonia proprio la sede dell’Orfanatrofio, per dividere insieme ai suoi ragazzi quel momento così solenne. Nelle elezioni del 1960 otterrà sedicimila consensi e la Dc conquisterà la maggioranza assoluta con il 47 per cento e 21 consiglieri su 40. Inizia la vera e propria era Menna; prende corpo il progetto della “grande Salerno”, della “città-cerniera fra Nord e Sud, della città-cantiere dell’edilizia selvaggia, delle ciminiere e dei capannoni. Si ripropone anche l’annosa e tormentata vicenda del porto. Divampano le polemiche fra chi voleva delocalizzarlo ad oriente e chi invece voleva puntare sulla ristrutturazione dello scalo già esistente, come De Martino, che ne fece il suo cavallo di battaglia e il ministro dei lavori pubblici Sullo. Il presidente del Consiglio superiore dei Lavori pubblici, Rinaldi, sebbene anche lui fosse per l’orientamento occidentalista, prima di prendere una decisione definitiva, affidò l’incarico al professor Ferrero, rettore dell’Università di Padova, il maggior esperto in materia, il quale consigliò di potenziare la struttura esistente, meno costosa e rischiosa della tesi orientalista. La costruzione del megaporto, con la soppressione dei bagni e dell’antico rione “Porto”, e la nascita dell’Università nella valle dell’Irno segneranno due amare sconfitte per il coriaceo sindaco che si era battuto affinché l’Ateneo rimanesse dentro le mura cittadine. Menna ebbe sempre grande rispetto e devozione per la cultura; fece ristampare l’opera omnia di Nicola Abbagnano, organizzò una grande mostra antologica nel Salone dei Marmi a Clemente Tafuri, che lo immortalò in una tela, fu amico di Pasquale e Mario Avallone, di Mario Carotenuto, che nell’’84 volle l’ex sindaco nel suo presepe. Ricordo che si presentò puntualissimo – ad accoglierlo nella sala san Lazzaro c’era l’allora parroco della cattedrale don Biagio Pellecchia – rimanendo in piedi – aveva all’epoca 94 anni – per tutto il tempo della posa. 

L’amministrazione comunale negli anni dal 1956 al 1970 riservò alla cultura grande attenzione, promuovendo convegni e congressi legati ad ambiti economici, politici e culturali di grande rilevanza, non mancando mai di rendere i dovuti onori alle grandi personalità del mondo della cultura. Fu proprio Menna, amico di vecchia data del padre Peppino, ragioniere capo alla Provincia, a conferire la cittadinanza onoraria ad Alfonso Gatto, nel corso di una solenne cerimonia nel Salone dei Marmi. Sindaco e poeta saranno protagonisti di un curioso episodio. Gatto fu portato in questura da uno zelante poliziotto, perché s’era messo a suonare il clacson all’impazzata, in quanto la processione del Corpus Domini bloccava la principale arteria cittadina e gli impediva di raggiungere la stazione, dove avrebbe dovuto prendere il treno per Milano. Venuto a conoscenza dell’episodio Menna si fiondò in questura per “liberare” il poeta. Menna fu anche un prolifico scrittore di libri di memorie: “Una istituzione allo specchio”, Boccia Editore, 1982; “Buon senso”, De Luca Editore, 1988; “La casa e la città”, De Luca Editore, 1989; “Palazzo di città. Per il buon governo 1956-1970”, De Luca Editore, 1986; “Salerno, ieri oggi domani”, Arti Grafiche Boccia,1996; “Come li ricordo”, due volumi, Edizioni Servizi Giornalistici Salernitani, 1996. Il 25 ottobre 1970, a ottant’anni, pur essendo stato il più votato della lista democristiana, per forti contrasti sorti in seno al partito non venne rieletto a sindaco. 

Dopo quattordici anni, dieci mesi e nove giorni di “regno”, il “profeta della grande Salerno”, lasciò la sua carica “con la piena coscienza di aver fatto tutto intero il mio dovere e di aver dedicato alla nostra Salerno ogni palpito del mio animo”. Menna prese decisioni fondamentali per il futuro sviluppo della città: come risposta alla drammatica situazione degli alloggi costruì interi quartieri, favorì gli insediamenti nella zona industria per attirare investimenti e lavoro, realizzò il lungomare, valorizzò l’hinterland per un maggiore incremento turistico potenziando la viabilità, i trasporti e le attrezzature, avviò la definitiva sistemazione dei corsi d’acqua pericolosi, il rimboschimento delle colline che sovrastano la città per evitare il pericolo di nuove frane e alluvioni, la bonifica dei costoni rocciosi, la costruzione del nuovo metanodotto e della nuova centrale del latte. Ma non sono mancati i denigratori, coloro che lo accusavano di aver sacrificato il verde alla cementificazione indiscriminata e di aver puntato sull’industrializzazione invece di privilegiare la vocazione turistica della città. Quando lo intervistai nel dicembre del 1996, aveva allora 106 anni, non si dichiarò per niente pentito e difese con lucidità le sue scelte, sostenendo che erano state in linea con gli indirizzi della politica nazionale di quegli anni; anche le polemiche sul porto non trovavano giustificazione con la realtà attuale. Ricordò il rimboschimento dopo l’alluvione delle pendici del castello e delle colline che sovrastano la città – vennero piantate trentamila piantine – e rivendicò l’acquisto di 140mila metri quadri di verde, a ridosso della città, da trasformare in parco pubblico. Concluse la chiacchierata sostenendo che lo sviluppo futuro della città era sulle colline. In un incontro-intervista dal titolo “Cent’anni a Salerno” di Gaetano Giordano, pubblicata da “Il Mattino”, Menna ricordando il suo passato di sindaco osserva: “Da quando io non sono più sindaco sono passati 18 anni e dopo di me ci sono stati 21 sindaci. Voglio dire che io di errori certamente ne ho commessi tanti, anche perché solo chi non opera non sbaglia e non c’è stato giorno che io me ne sia stato con le mani in mano”. Più di ogni altra difesa, vale il giudizio di Pietro Amendola, suo avversario politico: “Io sono fortemente convinto che egli sia stato soltanto un grande amministratore… il grande amore, la grande passione di Alfonso Menna è stata, senza alcun dubbio, la città di Salerno, che egli ha voluto in continua ascesa sia per quanto riguarda infrastrutture pubbliche e insediamenti abitativi sia per quanto riguarda la creazione di nuove fonti di lavoro, soprattutto nel settore industriale… E dovere di verità esige ancora riconoscere che se, purtroppo, è indubitato che la speculazione edilizia, in particolare quella dei costruttori, si alimentò grassamente in quella tumultuosa espansione della città, essa però non arrivò mai a scalfire minimamente l’onestà pubblica e privata del sindaco Menna”.

Tommaso D'ANGELO


Da https://cronachesalerno.it/2015/02/01/menna-un-uomo-semplice-fatto-per-le-cose-difficili/



Foto da https://www.ritornoabattipaglia.it/139/1929-elevazione-di-battipaglia-a-comune-relazione-di-alfonso-menna/