125° della !Garibaldi” di Imperia.

GIUSEPPE GARIBALDI
ITALIANO? EUROPEO? UN UOMO LIBERO

“Torna, torna Garibaldi...”: un ribelle disciplinato

    Tra i personaggi italiani Giuseppe Garibaldi era e rimane il più universalmente amato. Il paradosso è che, quando vi venne al mondo da Domenico e Rosa Raimondi il 4 luglio 1807, Nizza, sua città nativa, non era “italiana”, ma apparteneva all'Impero francese con sovrano Napoleone I. Non solo, in “Italia” Garibaldi rimase lo stretto necessario per farne uno Stato unito, indipendente e libero ma volle poi viverne lontano: precisamente nell'isola di Caprera, poco distante dalla Maddalena, a nord-est della Sardegna. Neppure scelse di starci sulla riva del mare: preferì abbarbicarsi in alto, in una casa modesta, bianca, qualche albero da frutta e pochi animali, circondata dall'aspra vegetazione che spunta tra le pietre spazzate dal vento. Nel 1854 Garibaldi acquistò parte dei 17 kmq scarsi dell'isola. L'anno seguente avviò la costruzione del podere e finalmente, grazie al concorso di amici inglesi, nel 1865 ne divenne proprietario unico, come documenta Aldo Ricci in “Obbedisco”.    Marinaio, dall'infanzia Garibaldi apprese che per dominare le forze della natura e, da ostili, volgerle in energia propizia occorre fare squadra e usare il compasso per fissare i “punti stimati”; ma bisogna anche saper stare soli a fantasticare e a contemplare il luccichio delle stelle, respirando silenti.    Ribelle e disciplinato, poco più che venticinquenne Garibaldi pose un piede nella marina da guerra del regno di Sardegna e un altro nella trama repubblicana orchestrata da Giuseppe Mazzini, di due anni più anziano, già carbonaro e fondatore in esilio della “Giovine Italia”. Cospirarono insieme e insieme il 4 febbraio 1834 fallirono. L'invasione mazziniana della Savoia decisa a suscitare un incendio rivoluzionario in Piemonte si dissolse come nebbia al sole. In Genova Garibaldi non trovò nessuno all'appuntamento che a sua volta avrebbe dovuto rovesciare la monarchia di Carlo Alberto di Savoia-Carignano, da tre anni re di Sardegna. Un asceta. Riparato in Francia a marce forzate tra i boschi e dal 3 giugno inseguito dalla condanna a morte in contumacia per alto tradimento, vagò alla meno peggio, dalla Tunisia al Mar Nero. Visse un paio d'anni con una vedova insegnando ai suoi figli quel che sapeva. Persino latino. Ne fuggì inseguito da fanatici. Nel dicembre 1835 partì alla volta dell'America meridionale: Brasile, Uruguay. Nel 1839 si unì ad Anita Ribeiro mettendola al sicuro da un marito violento.Tre anni dopo la sposò con rito religioso. Si batté su molti fronti, sempre contro i reazionari, sino a costituire una Legione italiana, che, ai suoi ordini, l'8 febbraio 1846 ottenne un brillante successo a Sant'Antonio del Salto in difesa della repubblica dell'Uruguay.

Massone e patriota

    Nel 1844 Garibaldi venne iniziato massone nell'“L'asilo della virtù” di Montevideo, una loggia “selvaggia”, e poco dopo fu regolarizzato in “Les amis de la Patrie”, all'obbedienza del Grande Oriente di Francia, che all'epoca era in rapporti fraterni con la Gran loggia unita d'Inghilterra, considerata depositaria di legittimità e regolarità. Entrò a far parte della Famiglia universale. Da uomo libero e senza pregiudizi. Lo confermò nel 1847 quando offrì la sua spada all'internunzio apostolico a Rio de Janeiro, Gaetano Bedini: era pronto a battersi con Pio IX per l'indipendenza italiana. Come tanti si era illuso che il papa avesse benedetto l'unità dell'Italia.    Il seguito della sua vita è arcinoto. In sintesi, tornato in Italia dall'America Meridionale ove era stato marinaio, corsaro, guerrigliero e comandante, nel 1848 fu a capo di volontari. Nel 1849 difese eroicamente la Repubblica Romana dall'assalto dei francesi inviati da Luigi Napoleone, principe-presidente. Sciolta la colonna che aveva guidato da Roma verso Venezia, grazie alla trafila patriottica dal Capanno di Ravenna raggiunse il Tirreno e fu costretto a un secondo esilio. Tornato nel regno di Sardegna d'intesa con Camillo Cavour, si attestò a Caprera. Entrato nella Società Nazionale, nel 1859 fu generale dell'esercito in divisa sabauda e allestì i “Cacciatori delle Alpi”, acquartierati in conventi sottratti a clarisse tra Cuneo e Savigliano agli ordini di due militari provetti: Cosenz e Medici. Liberatore di terre irredente nella seconda guerra per l'indipendenza, promotore della sottoscrizione nazionale per “un milione di fucili” di precisione (mica baionette!) per riprendere la guerra contro gli Asburgo, nel 1860 condottiero dei “Mille” da Quarto di Genova a Marsala, liberatore della Sicilia, dittatore a Napoli (ove giunse in treno, con piccola scorta, accolto dal “confratello” Liborio Romano, la cui vita è da romanzo), nuovamente a Caprera e poi a capo della sventurata spedizione “Roma o morte” del luglio-agosto 1862, imprigionato nel forte di Varignano (La Spezia) con tanto di pallottola entrata di rimbalzo nel malleolo del piede destro, nel 1864 in trionfo a Londra e nuovamente in campo contro l'Austria nel 1866, vittorioso a Bezzecca, e ancora, l’anno seguente, nell'Agro Romano per liberare Roma dal papa-re, Garibaldi fu nuovamente detenuto e rilasciato dal governo, nel timore di una rivolta generale della sinistra democratica.    Nel settembre 1867 aprì a Ginevra il congresso per la Pace. Per insegna aveva il motto «la guerra es la verdadera vida del hombre»: ma se è guerra di liberazione, non di oppressione. Lo ribadì a sostegno del primo Anticoncilio ecumenico di liberi pensatori, convocato a Napoli l'8 dicembre 1869 in risposta a quello adunato da Pio IX a Roma per la stessa data. Intralci polizieschi fecero tardare di un giorno il concilio napoletano, sciolto poche ore dopo l'inaugurazione al primo grido “Vive la République”.  

Un uomo (anche) di pensiero: europeista…

    Ma chi era dunque Garibaldi? Uomo d'azione, si è detto, ma anche di pensiero, lungimirante. Appena messa alle spalle la cacciata di Francesco II di Borbone dal regno delle Due Sicilie e (allontanato Mazzini, che non portava bene) mentre ne preparava l'annessione a quello d'Italia, nell'ottobre 1860 scrisse un “Memorandum”, da meditare anche oggi: «Supponiamo che l'Europa formasse un solo Stato. Chi mai penserebbe a disturbarlo in casa sua? […] Ed in tale supposizione, non più eserciti, non più flotte, e gli immensi capitali strappati quasi sempre alla miseria dei popoli per essere prodigati in servizio di sterminio, sarebbero invece convertiti a vantaggio del popolo in uno sviluppo colossale dell'industria nel miglioramento delle strade, nella costruzione dei ponti, nello scavamento dei canali, nella fondazione di stabilimenti pubblici e nell'erezione delle scuole che trarrebbero dalla miseria e dalla ignoranza tante povere creature che in tutti i paesi del mondo, qualunque sia il grado di civiltà, sono condannate dall'egoismo del calcolo e della cattiva amministrazione delle classi privilegiate e potenti all'abbrutimento, alla prostituzione dell'anima e della materia […] Quando mai presentò l'Europa più grandi probabilità di riuscita per questi benefizi umanitari? […] Insomma, tutte e nazionalità divise ed oppresse, le razze slave, celtiche, scandinave, la gigantesca Russia compresa, non vorranno restare fuori di questa rigenerazione politica alla quale chiama il genio del secolo […] La guerra non essendo più possibile, gli eserciti diventerebbero inutili. Ma quello che non sarebbe inutile è di mantenere il popolo nelle sue abitudini guerriere e generose, per mezzo di milizie nazionali, le quali sarebbero pronte a reprimere i disordini da qualunque ambizione tentasse infrangere il patto europeo.» Garibaldi lanciò l'appello a quanti «Dio confidò la santa missione di fare il bene […] quella che ha la sua base nell'amore e nella riconoscenza dei popoli».    Dieci anni dopo, la guerra franco-prussiana del 1870-1871 squassò l'Europa. Sconfitto irreversibilmente a Sedan il 2 settembre, Napoleone III, malato, riparò in Inghilterra. I “tedeschi” arrivarono alle porte di Parigi, ove la “Comune” prefigurò l'avvento del governo socialista. La risposta della borghesia fu devastante. Sotto lo sguardo ironico dei prussiani, che nel Castello di Versailles proclamarono l'avvento del Secondo Reich, la “Francia profonda” assalì Parigi, fucilò i comunardi contro il muro del cimitero di Père Lechaise e deportò in Nuova Caledonia i risparmiati. Guerra civile, guerra di classe, guerra ideologica, guerra... Tra le vittime della Comune si contò anche l'arcivescovo di Parigi come già era accaduto al suo predecessore nella rivoluzione del 1848.  

… e mondialista

    Il 6 settembre 1870 da Caprera, ove si sentiva “prigioniero”, Garibaldi lanciò la sfida: «Francesi, Scandinavi, Tedeschi sono tutti miei fratelli. I deputati delle monarchie e delle repubbliche di tutte le nazioni del mondo dovrebbero formare un areopago a Nizza, città libera, e stabilire ivi i seguenti primi articoli della Costituzione universale: È impossibile la guerra fra le nazioni; qualunque differenza sorta fra alcune di esse si dovrà sottoporre all'areopago affinché la componga pacificamente.» Non era un pacifista ingenuo. Pochi mesi dopo salì a cavallo e andò a battersi a fianco della Repubblica francese aggredita dai prussiani. Fu l'unico a strappare al “nemico” una bandiera di guerra. Eletto alla Costituente francese, adunata a Bordeaux, malgrado l'indignazione di Victor Hugo, suo ammiratore, non poté prendervi la parola perché non era “cittadino” di un Paese sconfitto, umiliato e dilaniato dal conflitto tra ugonotti e cattolici, socialisti e borghesi, clericali ed ebrei, come mostrò l'“affare Dreyfus”: una tabe che la Nuova Italia non conobbe, grazie al suo antico buon senso pagano.   

Primo massone d’Italia…    Da quali fonti Garibaldi attingeva l'energia? Sublimava ogni infinitesima parte del quotidiano e riportava l'Assoluto alla natura. Perciò si era riconosciuto in loggia: parole di passo, strette di mano, silenzi, cielo stellato. Negli anni della rinascita, tra il 1859 e il 1864, in Italia la massoneria contò una molteplicità di corpi e almeno quattro riti: il simbolico, lo scozzese alla francese (semplificato), lo scozzese antico e accettato (ma in “corpi” separati) e il memphis-misraim di cui Garibaldi fu Gran Ierofante. Ogni comunità massonica oltre a quello esoterico aveva un obiettivo “pratico”. Il Grande Oriente Italiano (non d'Italia) costituito a Torino da Felice Govean per proseguire la marcia verso un regno dalle dimensioni ancora incerte era monarchico e popolare. Altri erano antisabaudi e rivoluzionari. In un'Assemblea costituente il siciliano Filippo Cordova prevalse per un voto su Garibaldi, che però era gran maestro di un altro Grande Oriente, sedente a Palermo. Come “consolazione” gli vennero decretate la nomina a “primo massone d'Italia” e una medaglia d'oro, che non gli fu mai consegnata. Nel 1864 finalmente venne eletto gran maestro effettivo. Accettò. Capìto che le divisioni prevalevano, due mesi dopo si dimise accampando motivi di salute, anche per rimanere al di sopra del fratricidio che già divideva la “sinistra” in gruppuscoli numericamente irrilevanti e politicamente inconcludenti. Per anni continuò a ripetere che la massoneria è «la più antica e umanitaria delle società esistenti» ma doveva «identificarsi ai tempi presenti» (15 aprile 1872). Nella visita trionfale del 1864 a Londra era stato gratificato di un grembiule massonico di massimo rango. Però ritenne che occorreva fare un passo in avanti. Anche le donne andavano iniziate ai “misteri” dell'Arte Reale. Per dare l'esempio cominciò dalla figlia Teresita, alla quale, mentre combatteva vittorioso nel Trentino, raccomandava di bagnare gli alberi da frutta e badare al bestiame.    La sua divisa era e rimase “Italia e Vittorio Emanuele”. Trangugiò bocconi amari. Sapeva quanti ne aveva dovuti mandare giù, in pubblico e nel privato, Re Vittorio. Per capire la sua forza di marinaio ormai rattrappito dall'artrite sopravveniente, va ricordato che, eletto alla Camera subalpina nel 1848 per il collegio di Cicagna, rimase sempre deputato perché era in Parlamento che si dovevano prendere le grandi decisioni. Lì bisognava conquistare spazio per chi non aveva diritto di voto, per chi, pur potendolo, non votava, e per i tanti che (era il caso dei papisti) seminavano zizzania contro le Istituzioni, non sempre grate verso chi, come lui, spendeva la vita a consolidarle.        Caso unico in Italia, nella sua schietta semplicità Garibaldi venne capìto. Il suo nome fu assunto a titolo distintivo di logge mentre ancora era in vita e poi divenne consuetudine: “Garibaldi e Avvenire” a Livorno, “Leone di Caprera “ a Rio nell'Elba, “Garibaldi” ad Ancona, a Civitavecchia (“Giuseppe Garibaldi risorta”), a Castelnovo di Conza (Salerno), a Palermo, all'isola della Maddalena. A Buenos Aires, in Argentina, una loggia fu intitolata ad “Annita Garibaldi”. Come hanno scritto Luca Fucini e Marzia Taruffi, Garibaldi affiancò Mazzini quale “guardiano della Nuova Italia” (ed. Leucotea), ma lui fu di gran lunga più popolare dell'“Apostolo”, anche per le sue venture domestiche. Solo nel 1880, grazie al giurisperito piacentino Giuseppe Manfroni, ottenne l'annullamento del matrimonio con la “contessina” Giuseppina Raimondi, da lui posseduta prima delle nozze ma ripudiata proprio alla celebrazione del matrimonio perché fedifraga. E così poté finalmente sposare la popolana Francesca Armosino, da tanti anni sua “assistente” a Caprera e già madre di tre suoi figli, Clelia, Rosa e Manlio, che si aggiunsero a quelli avuti da Anita: Menotti, Rosita (morta piccina), Teresita e Ricciotti, tutti battezzati con rito cattolico.   

… e memorialista

    Garibaldi piaceva anche per la genuinità dei suoi modi di comunicare e di fare e persino per gli scopi che dichiarò quando decise di scrivere romanzi: non sapeva come ammazzare il tempo, pensava di educare i giovani al patriottismo universale e contava di trarne qualche profitto, mentre era assediato da “depredatori”. Ne aveva bisogno per campare alla meglio a Caprera e conciliare gli acciacchi della vecchiaia con la richiesta di presenziare alle grandi feste nazionali. Il 30 gennaio 1875 fu ricevuto al Quirinale da Vittorio Emanuele II. Andò reggendosi sulle grucce. Il 26 ottobre del 1860 si erano incontrati a cavallo presso Teano. Al Re presentò il suo programma per una Roma moderna: argini del Tevere, stabilimenti industriali, porto fluviale in collegamento con Ostia e... “i preti alla vanga”, come aveva scritto nel “Clelia”. Garibaldi aveva tredici anni più del re, gli era sinceramente affezionato e non immaginava che “Monsù Savoia” sarebbe morto tre anni dopo senza la consolazione che la “Bella Rosina”, sua moglie morganatica, fosse lì a tenergli la mano.    Sulla fine, Garibaldi prospettò l’«unità mondiale» per fondere insieme le unità germanica, slava, scandinava, musulmana, lasciando da parte la «latina», abusata dagli «errori dei capi del cristianesimo». «Circa l'Unità religiosa – precisò – vi è l'Unità in Dio che, ridotti i preti, i Ministri, i Dervishi, alla loro vera espressione d'impostori, può convenire universalmente.» Per accelerare il cammino verso l'Unità mondiale propose di utilizzare una lingua condivisa, a cominciare dall'anglo-sassone, «immensamente propagato», e una interlingua «iberitala». Per propiziare un'unica lingua «orientale» si rimise agli «scienziati». Fautore del diritto di voto universale, dell'abolizione della pena di morte, del divorzio, della protezione degli animali e di una seria legge fiscale, Garibaldi fu antesignano di tutte le riforme atte a «guarire la gran piaga della miseria», i cui volti aveva conosciuto dall'infanzia, nella circumnavigazione del globo, nelle tante battaglie.                           Aldo A. Mola                                                      

BOX    IL 125° DELLA LOGGIA “Giuseppe Garibaldi” di IMPERIA     Nel 1900, poco dopo la “Mazzini” di Sanremo, venne fondata a Porto Maurizio la loggia intitolata a Giuseppe Garibaldi, all'obbedienza del Grande Oriente d'Italia. Il 31 maggio 2025 essa illustra il suo percorso e sintetizza la sua missione con iniziative pubbliche curate da Carlo Campus, suo maestro venerabile, in collaborazione con tutta la loggia. Alle h.17 si svolge al Cinema Centrale di Imperia il convegno, moderato da Marzia Taruffi (Ufficio Cultura del Casinò di Sanremo, poetessa e scrittrice) su “Massoneria, 125 anni per le Libertà e la Costituzione” con interventi di Raffaella Canovi (Università di Milano) e Massimo Nardini (Università di Firenze). Alla vigilia, alle h. 16:30 di venerdì 30, la Loggia “Garibaldi” depone una Corona d'Alloro al monumento dell'Eroe in Piazza Roma a Imperia. Subito dopo, nell'ambito della Fiera del Libro perfettamente orchestrata da Luciangela Aimo, Francesco Vatteone dialoga in un gazebo di via XX Settembre con Filippo Bruno 33∴, autore di “La Riviera dei Framassoni”: una miniera di informazioni, biografie, illustrazioni, arricchita dai “piedilista” delle logge della Liguria orientale.    Letto il volume, nessuno potrà più dire: «Non sapevo…». Aldo A. Mola Didascalia: “La Riviera dei Framassoni” di Bruno Filippo 33∴ (ed. Il Filo di Arianna, pp. 547). Tra le centinaia di nomi citati nel volume come massoni spiccano l'agronomo Mario Calvino, padre dello scrittore Italo, Alfredo Crémieux, Leonardo Dulbecco, padre di Renato, Premio Nobel per la medicina, Aldo Quaranta, comandante della I Divisione di “Giustizia e Libertà” nel Cuneese, Domenico Sartore, suo cugino e suocero di Dante Livio Bianco, comandante delle formazioni “Giustizia e Libertà” in Piemonte, in successione a Duccio Galimberti, il generale Asclepia Gandolfo (che fu tra i fondatori della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale), Giuseppe Giulietti e Giovanni Battista Boeri. Seguace di Giovanni Amendola (a sua volta massone e antifascista), liberale, eletto deputato il 6 aprile 1924 nella Lista Nazionale ma antifascista militante, Boeri fu poi tra i fondatori del Partito d'Azione. Rifugiato in Svizzera, nel 1944 fu chiamato a Roma da Ivanoe Bonomi come Luigi Einaudi per assumere compiti prestigiosi. Nel 1948 venne eletto senatore del Partito repubblicano italiano. Tra i massoni attivi a Imperia merita memoria il Premio Nobel per la Letteratura Salvatore Quasimodo, iniziato nella “Arnaldo da Brescia” di Licata. Nel convegno del 31 maggio ne parla Raffaella Canovi. Alle 12 del 1° giugno Alessandro Cecchi Paone presenta alla Fiera del Libro il suo stringato e dotto saggio “Dialogo sull'immortalità” (ed. De Nigris) in responsorio con Raimondo Sangro di San Severo, Principe del Diavolo, alchimista, sapiente e gran maestro.   Aldo A. Mola