Oggi, 23 ottobre, ricorre la data dell'immolazione per l Patria sul campo di battaglia, del patriota italiano, Carlo Benedetto Enrico Cairoli.
Nato a Pavia il 6 febbr. 1840, quarto figlio di Carlo e di Adelaide Bono, allo scoppio della guerra del 1859 interruppe gli studi di medicina, intrapresi tre anni prima all'università di Pavia, ed accorse a combattere col grado di caporale tra i Cacciatori delle Alpi. Terminata la guerra e rientrato a Pavia, riprese gli studi, interrompendoli nuovamente per prender parte, nella 7ª compagnia comandata dal fratello Benedetto, alla spedizione dei Mille. Dopo aver partecipato allo scontro di Calatafimi, il 27 maggio del 1860 veniva ferito nei combattimenti precedenti l'ingresso a Palermo. Costretto così ad abbandonare la spedizione - dove era sostituito dal fratello Luigi, poi morto nel settembre -, rientrava in agosto a Pavia. Di questo suo periodo di campagna, dal 3 maggio al 10 agosto, tenne appunti quotidiani (editi in Pavia e la Spedizione dei mille, Pavia 1960, pp. 109-120).
Il 18 ott. 1860 fu nominato, dal prodittatore A. Mordini, maggiore di Stato Maggiore.
Allo scioglimento delle forze dei volontari nel Sud, preferì non entrare nell'esercito regolare e rifiutò anche la pensione di ferito. Conseguita la laurea nel 1861 con una dissertazione sul "Legame tra igiene civica e forma di governo", iniziò una saltuaria esperienza professionale. In una lettera del 27 luglio 1865 ad A. Bertani riconosceva, però, di essersi dovuto troppo allontanare, per l'attività patriottica, da una seria applicazione allo studio della medicina.
Nel 1862 fu al fianco di Garibaldi nella spedizione per Roma, fermata dalle truppe regie sull'Aspromonte, subendo quindi un periodo di prigionia nei forti liguri del Varignano, di Ratti e di San Benigno, dove compose un secondo diario (M. Brignoli, Diario di Enrico Cairoli prigioniero dopo Aspromonte, in Il Risorgimento, XV edito nel 1963allw pp. 169-185).
Liberato in ottobre per l'amnistia, progettò con Garibaldi e altri esponenti del Partito d'azione un piano di aiuto, fallito, ai Polacchi insorti nel 1863 contro il dominio russo. Nel 1866 provvide all'arruolamento nel Meridione di volontari Per la terza guerra d'indipendenza, cui partecipò combattendo nello scontro di Monte Suello. All'indomani del conflitto, deluso per le incertezze della condotta operativa, si volse risolutamente all'azione per Roma, dove si recò in agosto col fratello Giovanni per esaminare le possibilità di un'insurrezione. Concretatosi in settembre un progetto di spedizione coi preparativi e le prime infiltrazioni dei volontari nel Lazio, tornarono in Roma. Espulsi il 9 ottobre dalla polizia, s'incontrarono a Firenze col fratello Benedetto, portandosi quindi a Terni, per organizzare quell'azione di appoggio dell'insurrezione romana, diretta dal bergamasco F. Cucchi, che, iniziata il 20, fu
stroncata il 23 ottobre 1867.
Studiata la situazione al vicino confine, il Cairoli, assunse il comando del drappello radunato dal fratello Giovanni, movendo la sera del 20 ottobre da Terni: erano complessivamente settantotto volontari. Passati per Cantalupo e Ponte Sfondato, giunsero, via Tevere, la sera del 22 ottobre a ponte Milvio; qui, attese invano per due ore comunicazioni dalla città, intuirono il fallimento del moto romano. Spostandosi dalla sponda sinistra del fiume, ripararono in un canneto, e verso l'alba si avviarono verso i monti Parioli per preparare una difesa da posizioni dominanti. Occupato il poggio di una villa, di proprietà della famiglia Glori, vi furono attaccati nel pomeriggio del 23 da un reparto di zuavi e gendarmi pontifici. Contrattaccando alla baionetta, il Cairoli cadde ripetutamente colpito, spirando tra le braccia del fratello Giovanni, a sua volta ferito. La salma, consegnata dai pontifici per l'immediato interessamento degli amici politici, specie il Bertani e Jessie White Mario, in un accordo di scambio di salme e di prigionieri, fu tumulata nel sepolcro di famiglia in Gropello.
La sfortunata impresa segnò l'inizio di più ampie operazioni garibaldine intorno a Roma, che contribuirono a provocare, nonostante il nuovo smacco di Mentana, la rottura del precario equilibrio diplomatico raggiunto tra Italia e Francia con la convenzione di settembre, e sensibilizzarono l'opinione pubblica nazionale sulla questione di Roma, liberata tre anni dopo dalle truppe regie.
Nel 1883, un monumento venne eretto a Roma sul Pincio, opera dello scultore E. Rosa, che raffigura il Cairoli morente e il fratello Giovanni (Enrico morì a Villa Glori, nel tentativo garibaldino di unire Roma all'Italia; suo fratello Giovanni, rimasto ferito nello scontro, morì due anni dopo per uno strascico dei postumi).
Un altro fu innalzato a Pavia nel 1900 dall'architetto
E. Quadri e dallo scultore E. Cassi, in cui è ritratto con tutti i familiari. L'impresa ha ispirato anche i quadri di C. Ademollo e G. Induno, ed ha avuto celebrazione poetica con G. Carducci (In morte di Giovanni Cairoli, in Giambi ed epodi, Bologna 1960, pp. 89-99)e con C. Pascarella (Villa Gloria, in Sonetti, Storia nostra, Le prose, Verona 1960, pp. 59-88).
(fonte : da Treccani on line, riportato integralmente l'articolo di Bruno Di Porto - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 16 (1973)
"La Grecia ebbe i suoi Leonida, Roma antica i suoi Fabî, e l'Italia moderna i suoi Cairoli"
(Così disse Giuseppe Garibaldi).
🇮🇹
Un saluto.
Gianluca RIGUZZI