Perché la Ruota Dentata iniziò presto a girare in Cuneo?
In Italia il primo Rotary Club si insediò a Milano il 20 novembre 1923 con 20 associati. Nel 1924 furono costituiti sette Rotary: a Trieste (28 marzo), Genova (15 novembre), Torino (4 dicembre), Roma (6 dicembre), Napoli (11 dicembre), Palermo (15 dicembre) e Venezia (16 dicembre). Tre nel Settentrione, tre nel Mezzogiorno, tutti in capoluoghi regionali, e uno nella capitale del regno. Il 1924 in Italia fu un anno tortuoso. Il 6 aprile si svolsero le elezioni politiche sulla base della legge che prevedeva l'assegnazione di due terzi dei seggi al partito che ottenesse il 25% dei voti validi. Vinse la Lista Nazionale, comprendente candidati di un ampio arco filogovernativo, anche non fascisti. Il 10 giugno il rapimento e morte del deputato socialista Giacomo Matteotti per opera di una “squadraccia” risultata collusa con uomini vicini al governo turbarono il quadro politico e posero all'opinione pubblica la “questione morale”. Le opposizioni (destra liberale, democratici, repubblicani, popolari e socialisti) si arroccarono fuori dall'Aula e dettero vita al cosiddetto “Aventino”, proclamando che si sarebbero astenuti dai lavori parlamentari sino a quando il governo non avesse svelato gli aspetti oscuri del delitto e indicato il suo mandante. L'immediato arresto degli esecutori materiali, subito carcerati, esentò il “duce del fascismo” da dichiarazioni. Toccava alla magistratura, che si mostrò efficiente e determinata, individuare la catena delle responsabilità. Mentre imperversavano le polemiche giornalistiche, nacque uno stallo giudiziario che, sotto il profilo istituzionale, giovò a chi deteneva il potere. Con l'astensione dai lavori l'Aventino spianò il controllo del parlamento da parte di Mussolini. Per rabbonire le opposizioni, egli promise il ritorno dal sistema maggioritario ai collegi uninominali, graditi al ventaglio dei partiti non fascisti. A fronte di imbarazzanti rivelazioni giornalistiche sull'“affare Matteotti”, l'anno si chiuse con la perentoria richiesta dei consoli della milizia volontaria per la sicurezza nazionale a Benito Mussolini di tutelare gli squadristi dalla giustizia ordinaria per i crimini commessi nella guerra civile strisciante in corso dal 1919. Altrimenti avrebbero scatenato la “seconda ondata”, minacciata da molti “ras” di provincia, a cominciare da Roberto Farinacci, capofila della “rivoluzione fascista”. Il 3 gennaio 1925 Mussolini respinse alla Camera ogni addebito sulla morte di Matteotti e rivendicò il ruolo politico del fascismo: “rivoluzionario” e “stabilizzatore”. Il parlamento non offrì a Vittorio Emanuele III alcun appiglio costituzionale, un voto in Aula, fosse pure minoritario ma consistente, affinché egli potesse esercitare i poteri della Corona. Mussolini ebbe quindi mano libera. Presidente del Consiglio e già ministro degli Esteri e delle Colonie, nel corso di pochi mesi il “duce del fascismo” assunse la titolarità dei ministeri di Guerra, Marina e Aeronautica, in stretti rapporti con quelli di Finanza, Tesoro ed Economia nazionale, affidati a personalità di prestigio internazionale. Dal marzo 1924, prima delle elezioni, a riconoscimento della definitiva annessione di Fiume, Vittorio Emanuele III lo aveva nominato cavaliere della Santissima Annunziata, comportante il rango di “cugino del re”.
Anni difficili...
Il 29 maggio 1924 Pio XI indisse il giubileo universale. L'Anno Santo durò dal Natale del 1924 a quello successivo. Nei primi mesi del 1925 il parlamento approvò un ampio ventaglio di leggi a vantaggio del clero. Il 16 maggio conferì alle donne il diritto di voto nelle elezioni amministrative (comunali e provinciali), sulla scia di analoghe leggi varate all'estero. Nel corso dell’anno venne discusso il disegno di legge sulla regolarizzazione delle associazioni presentato da Mussolini il 12 gennaio. Esso fu esaminato e avallato alla Camera il 16-19 maggio e approvato alla quasi unanimità al Senato il 19-20 novembre. Vietò le associazioni segrete e vincolò i pubblici dipendenti (militari, magistrati e docenti, funzionari, impiegati e agenti) a prestare giuramento di fedeltà unicamente al re e ai suoi legittimi discendenti. Autorevoli parlamentari deplorarono che la legge aboliva la libertà di associazione. Alfredo Rocco, ministro della Giustizia, replicò che veniva impedita “la libertà della segretezza”. Un sofisma accettato dal parlamento. Dal canto suo Mussolini dichiarò che aveva avuto tre bersagli: annientare i socialisti, eliminare la Massoneria e demolire lo Stato liberale (sic). La legge sulle associazioni era la premessa per l'instaurazione dello Stato fascista, che non era solo un regime ma una “religione”. Non esigeva solo disciplina. Chiedeva “fede”. Per porre gli affiliati al riparo da persecuzioni e rappresaglie, pochi giorni prima della pubblicazione della legge nella “Gazzetta ufficiale” il gran maestro del Grande Oriente d'Italia, Domizio Torrigiani, sciolse le logge, imitato mesi dopo da Raoul Palermi, che presiedeva la Gran Loggia d'Italia. Entrambe tali comunità contavano sulla presenza attiva o passata di importanti gerarchi del regime e di esponenti di tutti i partiti a eccezione di quello popolare, fondato nel gennaio 1919 da don Luigi Sturzo. Però in parlamento solo due senatori difesero la massoneria quale istituzione che aveva concorso alla vita della Nuova Italia e propugnacolo di libertà e progresso democratico.
...ma la ruota gira
Mentre imperversavano assalti alle logge e polemiche giornalistiche contro le “società segrete”, nella primavera del 1925 vennero costituiti altri tre Rotary Club: a Firenze (7 marzo), Livorno (8 marzo) e a Bergamo (13 giugno). Dopo la pausa estiva nacque quello di Parma (3 ottobre). Il 18 ottobre fu la volta del Rotary Club di Cuneo. Esso fu dunque il quarto insediato in un capoluogo di provincia anziché di regione. Alla nascita ebbe una ventina di associati, un numero solo apparentemente modesto, se correlato alla vastità della provincia e alle lunghe percorrenze imposte ai soci che dovevano recarsi nel capoluogo. Secondo del Piemonte, il club di Cuneo precorse quello di Novara, sorto il 9 dicembre 1928 e quelli di Biella e di Alessandria, costituiti nel 1937, in un quadro generale del tutto diverso da quello di dodici anni prima. V'è quindi motivo di domandarsi come mai Cuneo abbia battuto sul tempo città di gran lunga più importanti per numero di abitanti, rilievo politico-amministrativo, istituzioni culturali e retaggio storico quali Bologna, Verona, Mantova, Bari, Pisa e Perugia. All'epoca il Cuneese non aveva alcun Istituto universitario né accademie o società culturali di prestigio nazionale o anche solo regionale. È possibile rispondere alla domanda sulle ragioni profonde che motivarono la nascita del Rotary locale con tanto anticipo rispetto ad altre città? Si può rispondere che la “Provincia Granda” trasse vantaggio dalla storia e della sua specifica condizione geo-politica. La prima considerazione è che nel 1860, dopo la cessione della Savoia alla Francia di Napoleone III, il Cuneese, che svalicava Oltralpe, a Tenda e a Briga, proiettandosi verso Ventimiglia e Nizza, era divenuto la nuova “culla” di Casa Savoia. Le residenze reali di Racconigi, Sant'Anna di Valdieri, Valcasotto, la tenuta di Pollenzo, con i poderi sperimentali seguiti personalmente da Vittorio Emanuele III sull'esempio del bisnonno Carlo Alberto, e le “case di caccia” costituirono riferimenti costanti dei sovrani. Il re scelse il Castello di Racconigi, sua proprietà personale, per la nascita dell'erede al trono, Umberto, nominato principe di Piemonte. La “Granda” assicurava al re una rete di antica devozione che si estendeva dai notabili ai popolani, accomunati nell'identificazione delle proprie sorti con quelle della dinastia, come era avvenuto nei secoli nello Stato sabaudo. Unico in Italia a vantare la continuità dinastica della casa regnante dal Medioevo al Novecento, esso costituiva un'eccezione in Europa.
Nel cono d'ombra una grande civiltà
Nel 1914-1915 l'interventismo non attecchì nel Cuneese, che però dette alla Vittoria del novembre 1918 un tributo di vite percentualmente superiore alla media nazionale. Anziché indebolito, grazie al secolare spirito di sacrificio individuale a vantaggio del superiore interesse dello Stato, il suo legame con la monarchia ne uscì rafforzato. Su tale identificazione pesò anche la fiducia che il ritorno dell'Italia all'amicizia con la Francia avrebbe propiziato il completamento delle infrastrutture ferroviarie e stradali, all'epoca in grave ritardo, necessarie all'incremento delle relazioni commerciali tra il Cuneese, il Nizzardo e la Provenza, a beneficio di rapporti umani e culturali che affondavano radici nei secoli. In tale disegno, Cuneo venne concepita e proposta quale tappa obbligata tra Torino e Nizza, anzi fra Berna e Marsiglia, come recitavano gli orari ferroviari e la pubblicità promozionale del turismo, che decantava la Granda quale terra di quiete operosa e di raccoglimento spirituale dopo i difficili anni della Grande Guerra. Ne è documento la maestosa la Stazione nuova di Cuneo, progettata anni prima della Grande Guerra. In una provincia estesa quanto una regione, pur nelle sue minuscole dimensioni il Rotary Club risultò la via maestra per chiamare a raccolta personalità eminenti, al di sopra e al di fuori della “politica”, per sommare princìpi ideali e pragmatismo e porre mano alla costruzione di un edificio imponente, nuovo ma non improvvisato, frutto di meditazione, fondato su conoscenza e fiducia reciproca tra architetti e maestranze. In sintesi, il Rotary cuneese non nacque su sabbie aride. Lo si evince dalla sua composizione, dai suoi programmi e dalla loro rapida attuazione. Alle spalle aveva decenni di esperienze amministrative e iniziative culturali e imprenditoriali di respiro nazionale, con proiezioni sulla costa e verso l'Oltralpe. Nel 1919-1925 Cuneo contava tre quotidiani, letti attentamente a Torino e anche a Roma. Per il rilievo dei loro referenti, spesso essi anticipavano orientamenti della politica nazionale. Ogni capoluogo dei circondari di Alba, Mondovì e Saluzzo era animato da almeno due settimanali. Ne avevano Bra, Fossano e città minori, capoluoghi di mandamenti provinciali, sulla scia della gloriosa tradizione ottocentesca di fogli locali, collegati a torinesi “fratelli maggiori”, come “La Gazzetta del Popolo” e la “Gazzetta Piemontese” (poi “La Stampa”), diretta dallo scrittore Vittorio Bersezio. La “Granda” pullulava di officine meccaniche e di manifatture tessili (soprattutto seriche) ma aveva ancora le sue basi nell'agricoltura e nell'allevamento ed esportazione di bestiame. Le sue radici, fortune e prospettive vennero proposte all'attenzione generale dalle Esposizioni Agrarie Riunite allestite a Cuneo dall'8 maggio al 16 novembre 1905. La Rassegna aveva alle spalle anche l'istituzione della Cassa di Risparmio di Saluzzo su impulso del direttore generale della Cassa di Risparmio di Cuneo, Giuseppe Berrini, «vigoroso e autorevole campione delle contemperate moderne tendenze ego-altruistiche, accorto e severo amministratore dalla mano di ferro ma dal guanto di velluto». Forte di un comitato d'onore composto dal ministro Luigi Rava, da Giolitti, Galimberti e altri notabili tra i quali l'israelita Marco Cassin, industriale serico, banchiere e presidente della Camera di Commercio, l'Esposizione propugnò la meccanizzazione del lavoro agricolo, la cooperazione e l'armonia sociale, anche con il potenziamento delle associazioni mutualistiche. Dedicò speciale attenzione all'utilizzo dell'energia elettrica. Lo sforzo organizzativo fu ripagato dal plauso del Re, che alle 8:30 del 13 agosto ne visitò i padiglioni accompagnato dalla regina Elena. Il clima civile prevalente nella Granda in coincidenza con l'Esposizione emerge dalla dichiarazione di Giolitti all'elezione a presidente del consiglio provinciale di Cuneo (13 agosto 1905), nel quale sedeva dal 1886 in rappresentanza del mandamento di Caraglio. Premesso che la carica non comportava «gravi difficoltà» (si riversavano soprattutto sul presidente della deputazione provinciale, che aveva potere esecutivo e gestire il bilancio), osservò che il consesso non era «che una riunione di amici che si stimano e si amano, animati dal solo intento di procurare il bene degli amministrati, non divisi da dissensi di natura politica, poiché tutti sono devoti alle patrie istituzioni; e, se qualche volta vi è lotta, dipende unicamente dal fatto che ognuno vede le cose dal suo punto di vista». Il 2 ottobre 1910 all'inaugurazione della nuova sede della Cassa di Risparmio di Cuneo andò oltre. L'istituto era punto di convergenza tra «le idee clericali e socialiste, moderate e radicali». «La questione sociale – aggiunse – noi la risolviamo elevando le classi più umili a livello di quelle più ricche», per far sì che «ognuno valga per ciò che ha e per il lavoro che compie, senza residue discriminazioni “di classe”». Negli stessi anni Luigi Burgo (Moneglia, 1876 - Torino, 1964), laureato ingegnere elettrotecnico a Londra e fiduciario della compagnia Thury di Ginevra per Piemonte, Liguria ed Emilia, scoprì la “Granda”. Dal 1898 vi installò imprese di produzione e distribuzione di energia elettrica e cartarie e, nel tempo, ne divenne demiurgo, sia per le capacità sue, sia perché il Cuneese era terra fertile, bene arata e seminata nei secoli. Dieci-vent'anni anni prima di costituire il Club di Cuneo i futuri rotariani erano già attivi nelle aziende di famiglia o pionieri di imprese nuove, volti all'esplorazione dei Paesi esteri, sull'esempio delle esperienze della dirigenza politico-amministrativa di metà Ottocento. Qualcuno, come Matteo Viglietti, poi asceso al vertice della Cassa di Risparmio di Cuneo, massone nella “Vita Nova” di Cuneo, era addentro al linguaggio cifrato di loggia, al pari del capo cassiere Ermete Revelli, affiliato alla “Propaganda” di Torino. Sin dall'agosto 1914, dieci mesi prima dell'intervento dell'Italia, la Grande Guerra aprì un solco profondo tra due età. Scavò nelle coscienze e, per quanto conosciamo da memorie, carteggi, spunti diaristici, dai “Bollettini” della prefettura, dalla messe di verbali e di atti delle pubbliche amministrazioni (in massima parte ancora inesplorati) e da quanto ne filtravano i periodici, essa incise nella riflessione di persone adulte, sperimentate, responsabili, chiamate a cogliere i mutamenti irreversibili imposti dalla conflagrazione europea e a intravvedere vie nuove. La nascita del Rotary Club a Cuneo non fu dunque casuale. Essa fece da raccordo tra due stagioni di un mondo costretto ad accelerare l'innovazione nella concezione e nella pratica del rapporto tra pubblico (ormai prevalente) e privato, tra dirigenti e “masse”. L'introduzione del suffragio universale maschile era stato precorso nel 1912 dal conferimento del diritto di voto quasi generale, anche agli analfabeti, purché trentenni, appena in tempo per scongiurare la contrapposizione Stato-cittadini altrimenti inevitabile con la mobilitazione e la militarizzazione degli anni seguenti, del tutto impreviste anche da Giolitti e da lui esorcizzate sino a pochi giorni prima dell'intervento in guerra. Il suffragio universale maschile dettò alle minoranze e alle “élites” l'obbligo di riorganizzarsi in forme per l'Italia inedite, a pensare per tutti, anche per chi, succubo degli affanni quotidiani, non aveva tempo di sostare né di riflettere. Le statistiche dicono che anche in molte plaghe del Vecchio Piemonte ve ne erano ancora molti.
Spezzare l'isolamento: l'Universo è Energia
Merita quindi attenzione il fatto che il Rotary, espressione emblematica di un modo nuovo di concepire i rapporti umani, tipici degli Stati Uniti d'America, si sia diffuso e radicato in Europa, Italia compresa, proprio in anni durante i quali essi, che già erano la maggiore potenza economica e militare mondiale, ripiegavano su se stessi. Proprio gli USA, che avevano motivato l'intervento nella Grande Guerra con i quattordici punti enunciati dal presidente James Wilson l'8 gennaio 1918, contro ogni aspettativa dilatarono la loro distanza dalla Vecchia Europa e volsero al neo-isolazionismo. Anche per quel motivo il Rotary si profilò quale messaggio innovativo, specialmente in Paesi segnati da profonde divisioni originarie e ancora lontane dall'essere colmate, come era l'Italia, in preda a lotte tra partiti. Esso dette voce all'anelito verso la modernizzazione, il superamento di barriere artificiose e la promozione di fratellanza umana. È dunque singolare che la Ruota Dentata abbia iniziato a girare nel Cuneese prima che altrove? Avvenne perché, come si è veduto, la Granda era terra di frontiera e crocevia d'Europa. Lontana da Roma ma con la costante presenza del sovrano che conosceva personalmente uno per uno i protagonisti della sua vita imprenditoriale, culturale e civile e, quando ne aveva occasione, si sentiva a proprio agio tra la “gente comune”. Come al generale Angelo Gatti confidò il suo aiutante di campo Arturo Cittadini, «il Re è proprio il tipo di cittadino borghese, democratico e libero pensatore», con piena consapevolezza del suo rango e dei doveri che ne derivavano: in perfetta sintonia con la gente della Granda, nella quale egli si riconosceva e che, a sua volta, ne riconosceva la maestà.
Aldo A. Mola
DIDASCALIA: Luigi Burgo. Quanto gli deve la “carta stampata”, veicolo di libertà? Lo ricorda?