GIOVANNINO GUARESCHI, ARCHETIPO DELL’UNITA’ DEL FRONTE CATTOLICO E MONARCHICO

Giovannino Guareschi, oltre a tutte le ben note benemerenze relative alla sua attività politica, giornalistica e letteraria, ha un pregio inestimabile spesso trascurato: è colui che riesce ad unire il litigioso fronte politico e religioso che si oppone alle ideologie antiumane che hanno trionfato nella seconda metà del XX secolo.


Cenni biografici 


Giovannino Guareschi nacque il primo Maggio 1908 a Fontanelle di Roccabianca, nel Parmense. A Parma iniziò senza fortuna l’Istituto Tecnico, per poi preferire il Ginnasio. Tuttavia problemi economici familiari lo costrinsero a frequentare il Liceo da esterno. In queste prime esperienze di vita segnala subito il suo carattere deciso, forte e assai propenso alla satira e all’ironia. Iscrittosi alla Facoltà di Giurisprudenza della Regia Università di Parma, inizia le collaborazioni giornalistiche, il più delle volte con lo pseudonimo di Michelaccio, tra cui si segnalano quelle con la Voce di Parma, la Fiamma (organo dei GUF parmigiani), Bazar, il Tevere. Subito diventa anche pungente disegnatore e incisore, privilegiando le produzioni a carattere satirico, vignettistico e talora pubblicitario. 

Partito per il servizio militare, che svolse a Potenza e a Modena, continuò le collaborazioni giornalistiche, in particolare con la Domenica del Corriere, Menelik, il Secolo illustrato e Cinema illustrazione, divenendo alfine redattore e poi redattore capo del Bertoldo, nuovo quindicinale umoristico della Rizzoli. 

Compiuto il servizio militare, nel 1936 si trasferì a Milano. Nel 1940 sposò Ennia Pallini che gli diede due figli, Alberto e Carlotta. Sul Bertoldo pubblica a puntate il suo primo romanzo, La scoperta di Milano, edito in volume nel 1941, dai forti accenti surrealistici, mentre del 1942 è Il Destino si chiama Clotilde. Collabora nel frattempo con le principali testate giornalistiche e radiofoniche Italiane, tra cui il Corriere della Sera, La Stampa e Radio Militare, non disdegnando anche l’attività di sceneggiatore cinematografico.


 

Richiamato alle armi e distaccato come Tenente d’Artiglieria ad Alessandria, riesce a terminare il suo terzo romanzo, Il marito in collegio, uscito a puntate sull’Illustrazione del Popolo nel 1942-43 e poi in volume nel 1944. 

Dopo l’8 settembre, rifiuta di aderire alla RSI e poco dopo viene fatto prigioniero dai Tedeschi calati in Italia, che evidentemente non si fidavano di lui. Viene trasferito in seguito in vari campi di concentramento in terra germanica fino al settembre 1945, tra cui Sandbostel, vicino Brema. Durante la prigionia si occupa dell’intrattenimento dei detenuti, trasformando “Il Bertoldo” in “Il Bertoldo parlato” e organizzando spettacoli e conferenze. I testi di queste attività furono raccolti nel 1945 nei libri La favola di Natale, poi musicata da Coppola; Diario clandestino (1947); Ritorno alla base (postumo, 1989). 

Tornò a Milano alla fine del 1945 e, dopo un breve periodo come redattore del quotidiano Milano sera, in dicembre fondò con Mosca il celeberrimo Candido, in cui espose le sue idee battagliere di stampo Monarchico, Cattolico e fieramente anticomuniste. Del Candido fu Condirettore con Mosca sino al 1950, dal 1957 Direttore unico. Le pubblicazioni proseguirono fino al 1961, allorché, dopo un breve periodo in cui la direzione fu assunta da A. Minardi, cessarono. 

Nel Candido impegnò tutto se stesso, mettendo in campo la propria abilità di polemista, scrittore, giornalista e vignettista satirico, per la causa monarchica al referendum del 1946 e per la causa anticomunista alle elezioni del 1948. Dopo la vittoria della Democrazia Cristiana nel 1948, si allontanò però sempre più dalle istanze di quel partito, col quale aveva condiviso quel percorso elettorale esclusivamente per la scelta anticomunista. Troppi aspetti infatti lo dividevano dal partito degasperiano: il centrismo, il democraticismo, il repubblicanesimo via via consolidantesi, per non parlare del malcostume etico tipico della democrazia partitica del secondo dopoguerra. 

Fece grande scalpore il caso del 1951, allorché Guareschi fu condannato a otto mesi di carcere insieme al redattore Manzoni per la pubblicazione sul Candido di una vignetta ritenuta offensiva nei riguardi del Presidente della Repubblica Einaudi. 



Altro caso clamoroso fu quello del 1954, allorché egli pubblicò una durissima requisitoria contro De Gasperi, accusato senza mezzi termini di aver chiesto agli Angloamericani, durante la guerra, di bombardare senza pietà obiettivi civili al solo scopo di suscitare una rivolta antitedesca. La querela non si fece attendere e nell’aprile 1955 Guareschi fu condannato a un anno di reclusione, che decise di scontare quasi a testimonianza della violenza repubblicana e democratica, rinunciando al ricorso in appello. 

Da tutte le esperienze di lotta, Guareschi trasse gli spunti per la celeberrima creazione delle due figure del cosiddetto “mondo piccolo”, che gli avrebbero dato fama imperitura: Peppone e Don Camillo, protagonisti di una serie di racconti editi sotto forma di romanzi brevi, da cui furono tratte, con la collaborazione dello stesso Guareschi, le famosissime pellicole cinematografiche. 

Sempre in ambito cinematografico, l’autore emiliano si occupò inoltre di un documentario di critica sul mondo contemporaneo, La rabbia (1963). Altre raccolte di racconti di questo periodo sono Lo zibaldino (1948) e il Corrierino delle famiglie (1954). 

Sempre più insofferente alla caotica vita cittadina, Guareschi si trasferisce nel 1952 a Roncole Verdi, recandosi a Milano per le necessità della direzione del Candido, preferendo dedicarsi sempre più alla gestione di un’azienda agricola e in seguito di un caffè. 

Con gli anni’60, Guareschi limitò l’attività a collaborazioni coi settimanali Il Borghese e Oggi, isolandosi vieppiù, rinunciando all’offerta di direzione fattagli da Pisanò, che aveva rifondato il Candido. Nel 1967 scrisse La calda estate di Gigino il pestifero, assai critico verso l’Italia del cosiddetto “boom economico”. Morì a Cervia il 22 luglio 1968. 


Guareschi: Cattolicesimo e Monarchia 


Guareschi era un Cattolico tutto d’un pezzo. Spesso, travisando le figure di Peppone e Don Camillo, qualcuno lo ha identificato come una specie di anticipatore del compromesso storico del ’73. In realtà egli era un anticomunista viscerale e ciò traspare pienamente nel contrasto tra Don Camillo e Peppone, laddove ciò che ha di buono Peppone deriva esclusivamente dal suo non essere del tutto comunista, essendo in lui ancora vive le istanze buone della religiosità contadina e del civismo patriottico popolare, con notevoli richiami all’Italia di Vittorio Veneto e all’esperienza della Grande Guerra. Anzi, questi aspetti avvicinano casomai il Guareschi al Fascismo, poiché era una precipua istanza Fascista recuperare le masse traviate dalle sirene rosse all’amor di Patria. Poiché però il Fascismo era stato messo fuori gioco dalla Seconda Guerra Mondiale, Guareschi sperava che ciò sarebbe stato possibile attraverso la rinascita della Monarchia. Purtroppo anche questa speranza si rivelò una chimera, benché allo stesso referendum vi fossero stati perfino iscritti del PCI votanti per la Monarchia. 

Il Cattolicesimo di Guareschi era autentico, vissuto, tradizionale. Egli disse: 

“Il mondo cambia ma gli uomini rimangono come Dio li ha creati perché Dio non ha fatto alcuna riforma e le sue leggi sono perfette, eterne e immutabili”. 

In particolare, il suo “mondo piccolo”, nella durissima lotta contro ciò che altro non era se non una globalizzazione in erba, si ergeva strenuamente a difesa della generosità, della genuinità, della verace passione per il bene, il bello e il buono, contro l’egoismo, l’avidità, l’individualismo e il materialismo. 

Famiglia, comunità, legami civili e legami religiosi: questi i baluardi contro il modernismo, religioso o civile che fosse. Dal punto di vista istituzionale, tali puri e vigorosi sentimenti non potevano che esprimersi in un monarchismo senza compromessi, spontaneo quanto razionale. Un monarchismo schietto, naturale, genuino, autentico, privo di retorica: per Guareschi la fedeltà al Re ed al giuramento prestato come militare erano inequivocabili, indisponibili a discussioni o ripensamenti. Egli possedeva nel massimo grado quella fede monarchica che fa percepire in modo naturale che il “bene della Patria” è inseparabile dal “bene del Re”. Guareschi era "Monarchico in quanto Italiano, Italiano in quanto Monarchico". 



Per difendere l’Istituto e la Casa Reale, egli si mise in gioco in prima persona, senza temere isolamenti, diffide, querele, denunce e ostracismi, con spirito altissimo di sacrificio e con indefessa volontà di compiere il proprio dovere. Egli proseguì in qualche modo l’opera Fascista capace di purificare il Risorgimento col lavacro del Cattolicismo tradizionale, risolvendo già ai suoi tempi tutte le questioni che perfino oggi dividono assurdamente tanti pensatori e politici d’area. 

Guareschi rimase però, a conti fatti, deluso dal partitismo monarchico, sia perché ne vide la sterilità proprio nel momento di maggior fortuna elettorale (ben 56 deputati), sia perché in seguito assisté all’illogica spaccatura Covelli-Lauro, ovvero PDIUM-PNM. Peraltro le stesse organizzazioni monarchiche non ebbero mai un atteggiamento corretto e giusto nei confronti del pensatore emiliano, trascurandone spesso le istanze, forse perché ormai paradossalmente parte integrante del sistema repubblicano-democratico, con il suo clientelarismo e la sua politica di mestiere. Ma del resto Guareschi non ambì mai a particolari onori e riconoscimento, bastandogli la certezza di aver compiuto il proprio dovere: anche in questo atteggiamento la ripresa spontanea delle idealità Fasciste è evidente. 

Le battaglie fondamentali del più puro monarchismo di quegli anni, dalla volontà di spezzare la spirale dell’odio ereditata dalla guerra civile, alla strenua difesa del concetto nazionale contro ogni spinta centrifuga o centripeta, sia sovranazionalista che regionalista, all’avversione completa al modello dittatoriale comunista, furono medesimamente le battaglie fondamentali del Guareschi. 


Conclusione 


Uomo sanguigno e poetico, autenticamente rurale e genuinamente patriottico, schiettamente religioso e vero e proprio riscopritore della pietas Romana, Guareschi aveva la capacità di descrivere e apprezzare gli uomini nella loro autenticità fisica e spirituale. 

Egli riuscì a rendere arte la realtà quotidiana, la spontaneità e il naturalmente bello. Egli può definirsi un cavaliere novecentesco, capace di ricuperare la purezza medievale dei valori Cristiani. 

Egli è poi il testimone fondamentale della compattezza del fronte Monarchico- Cattolico, ad onta di tutti coloro che a tutt’oggi si ostinano fuori tempo massimo a ripercorrere antiche polemiche risalenti al Risorgimento, ampiamente superate e risolte da quasi un secolo.


Vittorio VETRANO


Bibliografia 


Gnocchi A. (1998), Giovannino Guareschi, una storia italiana, Rizzoli, Milano 

Gnocchi A. (2005), Viaggio sentimentale nel mondo piccolo di Guareschi, Rizzoli, Milano 

Gulisano P. (2019) Giovannino Guareschi: un grande maestro di cristianesimo, in Radio Spada: https://www.radiospada.org/2019/05/giovannino-guareschi-un-grande-maestro-di-cristianesimo/  

Iacona P. (2010), Guareschi, anarchico sentimentale, in Centro Studi la Runa Proietti D. (2003), in Treccani, Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 60, voce Giovannino Guareschi