FOCUS DI APPROFONDIMENTO: "QUO VADIS, AMERICA"?

La democrazia occidentale è ancora in salute? E se si, in un mondo che cambia così rapidamente, conserva ancora intatta la sua efficacia? Questi sono alcuni dei tanti dubbi che, oggi, non possiamo più eludere ma dobbiamo affrontare serenamente, per non perdere l'orientamento nell'attuale caos. Ci aiuta a fare chiarezza la lucida penna del nostro amico Ferrante De Benedictis.


LA MORTE DELLA DEMOCRAZIA: COLPA DELLO SCIAMANO O DEI COLOSSI DEL WEB?


Quanto accaduto a Capitol Hill lo si vorrebbe, in maniera sbrigativa, licenziare come un tentativo di golpe ordito da trogloditi privi di alcun senso civico e rispetto per le istituzioni.

Come sempre accade in qualunque processo storico è sempre più interessante analizzarne la genesi e la fase di gestazione piuttosto che l’esplosione dello stesso, ed allora ci renderemmo facilmente conto che gli Stati Uniti sono preda da tempo di un’escalation di violenza che si è parzialmente raffreddata solo dopo la sconfitta di Trump.

Dunque, l’assalto al luogo simbolo delle Istituzioni democratiche USA è figlio delle parole di incitamento di Donald Trump o si lega a doppio filo ad una frattura interna alla società americana già esasperata dalla crisi economica prima e dal COVID poi, e che si è palesata con la lotta al razzismo ed alla stessa storia dell’Umanità?

È del tutto evidente che si sia trattato di un tentativo goffo ed irresponsabile di ribaltare l’esito elettorale, tentativo che ha avuto inizio dalle stesse parole del Presidente Trump, il cui errore è stato quello di non accettare la sconfitta, limite gravissimo in un sistema democratico. Ma da qui a gridare ad un golpe organizzato il cui mandante fosse Trump, visti gli esiti grotteschi, mi sembra piuttosto una forzatura giornalistica che una reale ipotesi investigativa.

Ciò premesso un tema rimane comunque aperto ed è quello della crisi delle democrazie occidentali, nel cui santa sanctorum l’America ha mostrato tutte le sue strutturali debolezze.

Diventa dunque lecito domandarsi ma la democrazia è ancora in salute? E se si, in un mondo che cambia così rapidamente, conserva ancora intatta la sua efficacia?

A dire il vero sono già diversi anni che il sistema democratico, sempre più piegato ad un modello economico globale incernierato su due nuovi oligopoli, quello delle tecnologie dell’informazione e quello della finanza, mostra le sue crepe e la sua inettitudine a governare le nuove sfide, con la drammatica conseguenza di una sempre più netta separazione tra una povertà che avanza a macchia d’olio e la superclass che di contro accresce il suo dominio.

A questa spaccatura se ne aggiunge una seconda che prescinde dalle vecchie categorie sociali, ossia quella tra i garantiti, aventi una garanzia di salario ed i non garantiti, partite iva, professionisti e lavoratori nei settori del commercio e della ristorazione, quest’ultima emersa soprattutto come conseguenza della crisi pandemica.

A Capitol Hill abbiamo assistito non tanto all’emergere di un conflitto politico ma ad un malessere ben più profondo e che riguarda le ataviche fratture, ormai insanabili, all’interno delle moderne società multietniche occidentali, dove è evidente il fallimento delle politiche di integrazione, e dove all’interno delle quali, sotto un’apparente normalità, covano pericolose sacche d’odio e di risentimento.

Ed in tutto ciò l’unico colpevole sembrerebbe essere Donald Trump, assunto dunque a capro espiatorio con potere terapeutico nei confronti delle nostre coscienze. E così l’istrionico Presidente Americano, che se pur con modi spesso naïf, è stato il solo argine ad una deriva globalista viene oggi presentato come il nemico numero dell’America e della democrazia occidentale. Occorre ribadire che Trump non è certo immune da colpe ed è stato anche protagonista di grossolani errori comunicativi, in particolare riguardo il tentativo di voler ricercare in modo ossessivo una vittoria che gli è sfuggita per una serie di fattori in primis interni, e di interessi che si sono via via coalizzati al fine di ristabilire il normale fluire di un modello politico-economico ormai dominante.

Altrettanto importante ribadire che con questo non si vuole in alcun modo giustificare la violenza, che tale rimane a prescindere dal fine, e dunque mai dovrebbe essere impiegata; ma occorre affermare con altrettanta chiarezza che la violenza non ha colore politico e non può diventare battaglia per le libertà se ad avvallarla è una parte.

Basti guardare le devastazioni che i movimenti di protesta come quello “Black Lives Matter” hanno prodotto, intere città messe a ferro e fuoco, diversi feriti e morti, e che se pur mossi dai migliori propositi sono sfociati in una violenza cieca e senza precedenti che ha finito per condannare la storia, colpevole di non essere stata sempre omogenea ed in linea con il loro pensiero.

Tornando a quanto accaduto negli ultimi giorni, a seguito dell’assalto al Campidoglio diversi profili social di Donald Trump sono stati cancellati per sempre, questo atto di silenziare l’avversario politico, in una società dove la comunicazione social rappresenta uno strumento potentissimo, equivale ad una condanna all’esilio, in grado di rappresentare un pericolosissimo precedente di censura e di condanna all’oblio perpetuato da un operatore privato di grande rilevanza pubblica.

La morte della democrazia e delle libertà fondamentali dunque non è stata celebrata con l’occupazione del Campidoglio da parte dello Sciamano con le corna, ma piuttosto dai colossi dell’informazione che si sono arrogati il potere di condannare senza appello l’avversario politico o il personaggio a loro scomodo.

Con Capitol Hill è però evidente che un mondo è finito, quello della dichiarazione di indipendenza americana, aventi come capisaldi la libertà, l’uguaglianza e la ricerca della felicità, e nei quali molti americani non si riconoscono più, perché tutto ciò non può esistere in una società segnata dalle disuguaglianze e dall’omologazione distruttrice delle identità, avente il solo scopo di avvantaggiare i nuovi oligopoli delle tecnologie dell’informazione e della finanza globale.


Ferrante DE BENEDICTIS 

Vicepresidente di Nazione Futura