CESARE MARIA DE VECCHI, CONTE DI VAL CISMON (1884-1959)

Cesare De Vecchi, il Fascista dall’indissolubile fede Cattolica e Monarchica, capace di sintetizzare i valori positivi in un unico ideale patriottico. Valoroso soldato, organizzatore della Somalia e del Dodecanneso, fine diplomatico e grande uomo d’azione, fu uno dei più importanti uomini politici Italiani del XX secolo.


Dalla nascita alla Grande Guerra

Cesare Maria De Vecchi nacque il 14 novembre 1884 a Casale Monferrato, in Provincia di Alessandria. Il padre Luigi era un notaio appartenente a nobile e distinta famiglia; la madre si chiamava Teodolinda. Dal carattere forte e determinato, portò sin da giovane i caratteristici folti baffi.

Grande studioso, dopo aver frequentato il Liceo presso i salesiani, cui rimarrà strettamente legato per tutta la vita, si laureò in Giurisprudenza e, poco dopo, in Lettere e Filosofia (1906).

I suoi interessi sono molteplici e dà prova di una notevole vena artistica, sia nel campo della pittura (espose i suoi quadri in numerose mostre della Società Promotrice delle Belle Arti) che in quello della letteratura (nel 1906 pubblicò Primavera, volume in versi). Nel frattempo si sposò con Onorina Ruggiero, ponendo definitivamente la sua residenza in Torino. Intraprese quindi la professione di avvocato. Non trascurò però la carriera militare nell’Esercito.

Inizia a interessarsi di politica con la crisi Italo-Turca che sfocia presto in una guerra da lui fortemente auspicata. Si fa altresì promotore dell’annessione, oltreché della Libia, delle isole del Dodecanneso, isole di cui 24 anni dopo sarebbe diventato Governatore.

A livello di politica interna, abbraccia l’ideale Monarchico Sociale e Cattolico, indirizzato a superare una volta per tutte le antitesi che creano continuo scompenso alla Nazione: in futuro i rapporti Chiesa-Stato, Lavoro-Capitale, Patria-Popolo non dovranno più essere visti in senso conflittuale, ma dovranno contribuire a costituire un tutt’uno concorde e unitario, quel tutt’uno che dovrà essere la nuova Italia.

Con l’Entrata in Guerra del ’15 si arruola volontario, combattendo valorosamente per tutto il quadriennio bellico, ottenendo più medaglie al valor militare e una Croce di Guerra.


Dallo Squadrismo Rivoluzionario alla Marcia su Roma

Tornato dalla guerra si trova di fronte al disastro economico e sociale del Paese, fomentato dai rossi. Individuato nel gruppo di Mussolini il movimento che poteva realizzare le giuste idealità, il 23 Marzo 1919 è uno dei Sansepolcristi, i Fascisti della prima ora. E’ il fondatore del Fascismo piemontese, caratterizzato subito dall’assoluta fede Cattolica e Monarchica. In particolare il legame con la Dinastia Sabauda diventa un aspetto fondamentale del movimento fascista piemontese. Come raccontò Grandi nelle sue memorie, De Vecchi aveva una fede quasi fanatica nei confronti della Casa Reale, tanto che bastava fosse fatto il nome del Sovrano ch’egli aveva un moto spontaneo teso a mettersi sull’attenti.

Nella sua qualità di capo del Fascismo piemontese, De Vecchi è l’organizzatore del locale Squadrismo, che porta alla vittoria sulle bande sovversive che continuavano a minacciare la vita economica e sociale della Nazione. In quel periodo (6 marzo 1921) rimase altresì gravemente ferito in un’imboscata presso Casale. Sempre nel 1921 viene eletto Deputato e diventa, con Balbo e De Bono, Comandante Generale della Milizia.

Al contempo, contribuisce con le sue idealità in modo determinante alla strutturazione dell’apparato ideologico e sociale del PNF, promuovendo l’unione di tutti i ceti e di tutte le le istanze nazionali (appunto i fasci) per il bene supremo della Patria. Nel giro di due anni è tra coloro che riescono a far convergere i Nazionalisti verso il Fascismo.


De Vecchi con Mussolini e gli altri Quadrumviri alla Marcia su Roma



E’ tra gli organizzatori della Marcia su Roma, di cui viene nominato Quadrumviro insieme a De Bono, Balbo e Bianchi. In particolare è tra coloro che tessono quegli importantissimi rapporti tra Monarchia, Chiesa, Esercito e Partito che permettono il pieno successo della Rivoluzione del 28 Ottobre 1922.


Dal Governo Nazionale alla Somalia

Membro del neonato Gran Consiglio del Fascismo, partecipa al Governo Mussolini quale Sottosegretario per l'Assistenza militare e le pensioni di guerra presso i Ministeri economici e dall’8 marzo del 1923 quale Sottosegretario alle Finanze. Grazie a lui vengono avviate a soluzione le problematiche dei mutilati e dei reduci di guerra, attraverso la costruzione di case ed associazioni apposite.

Tuttavia già il 3 maggio del 1923 si dimette perché inviato dal Re in Somalia quale Governatore della Colonia per il periodo 1923-1928. 

Il 3 Agosto 1925 viene creato Conte di Val Cismon (luogo di un suo ardito combattimento durante la Grande Guerra) e il 15 Ottobre 1925 diventa altresì Senatore del Regno. 



Durante il suo mandato coloniale realizza imponenti lavori pubblici, tra cui la creazione di una rete di strade per un totale di 3.000 km e l’installazione delle prime ferrovie. Circa l’assetto politico-amministrativo della Colonia, De Vecchi mette mano ad un’imponente riforma che permette di istituire un apparato agile e funzionale, conferendo altresì maggior prestigio allo Stato (in questo senso va vista la politica di disarmo delle popolazioni, abituate a farsi giustizia da sé e ancora nuove al concetto di autorità statale). Egli ha però l’accortezza di non stravolgere i costumi locali, connotati dal tradizionale tribalismo islamico e imperniati sulle famose cabile. Sul disarmo di queste ultime è però irremovibile e, a costo di intraprendere scontri militari con le scalmanate tribù meridionali, riesce alfine a raggiungere l’obiettivo. La sua mano ferma, equanime e sicura viene assai apprezzata dai nobili somali, i quali vi scorgono il segno della Giustizia Romana. Significativa la lettera scrittagli a quel tempo dal Califfo Guled:

“Prima del tuo arrivo eravamo stanchi di dover sempre pacificare or qui or là; il Governo ci chiamava e ci mandava fra le genti a mettere pace, ora tutto è tranquillo per la tua giustizia. Prima del tuo arrivo eravamo come nelle tenebre, or siamo nello splendore del sole. Ognuno rispetta l’altro. Il nostro paese gode perfetta tranquillità per tuo merito. Il nostro territorio degli Scidle è tutto tranquillo senza alcuna causa di malcontento e tutti i sudditi mussulmani: Sceicchi, Califfi, Capi e tutti i dipendenti pregano per te e parlano sempre bene di te e pregano Dio di darti lunga vita e di tenerti sempre in mezzo a noi. Pregano perché sei un governatore giusto. Tutta la gente del Benadir, maschi e femmine, ti chiamano Abu Sef (“Padre della spada”, ndr) perché sei giusto. Tutti i sudditi dell’interno e della costa, parlando fra loro, dicono: al Governo di Abu Sef che rispetta la legge religiosa che giudica giusto e per cui tutti sono uguali: bianchi, neri, verdi, grandi, piccoli e santoni, speriamo che Iddio dia lunga vita e lo salvi da tutti i mali.”

Come ricordò splendidamente il Meregazzi, i Somali “non ebbero mai una Patria, pur essendo di una sola razza: l’unità somala è una creazione Italiana. Essi conobbero soltanto l’anarchia e la guerriglia delle cabile”. Infatti “soltanto noi abbiamo fatto loro conoscere la Grande Somalia, una di popoli e di confini sotto la bandiera d’Italia, ch’è anche la loro bandiera.”. Lo stesso nome di Somalia è felicissima invenzione Italiana e risale al 1892, quando l’adottò per la prima volta l’Ingegner Brichetti, esploratore del Benadir: la Somalia è figlia dell’Italia.

La politica di unificazione delle genti Somale frutta tra l’altro la definitiva integrazione nella Somalia dei Protettorati Sultanali di Obbia e Migiurtinia. De Vecchi apre anche la strada per la futura espansione della Grande Somalia, gettando il seme dell’irredentismo dell’Ogaden, territorio Somalo in mano all’Impero del Negus. Nel decennio successivo, con la vittoria contro gli Abissini e la proclamazione dell’Impero dell’AOI, il territorio sarà finalmente riscattato e unito al Governo della Somalia. La fedeltà e l’entusiasmo di Dubat e Zaptié mostrano da soli la convinta adesione popolare al progetto politico coloniale Italiano. 

De Vecchi si impegna altresì per il continuo miglioramento agro-zootecnico della Somalia, in particolare col potenziamento della stazione agricola sperimentale di Genale e col sempre maggior sviluppo del celeberrimo Villaggio Duca degli Abruzzi. 

Grazie a tutte questa attività si assiste ad un grande incremento della produzione agricola locale, tra cui è da segnalare quella delle banane, di cui l’Italia diventa grande esportatrice. Il porto principale di esportazione del frutto è Merca. 

Per sfruttare al massimo la vocazione agricola della Somalia, si iniziano inoltre ad impiegare tecniche agricole ed energetiche sperimentali atte a sottrarre terre alla desertificazione e ad ottenere energia dalle fonti più diverse, con un’attenzione all’ambiente e agli ecosistemi locali stupefacente: da ricordare che il primo grande utilizzo di pale eoliche per l’energia avviene proprio nella Somalia Italiana sotto il Governatorato di Corni, successore di De Vecchi.


Dal Vaticano a Rodi

Allo scadere del mandato in Colonia, nel 1928, anche per i suoi eccellenti legami con la Chiesa, De Vecchi viene nominato Ambasciatore d’Italia presso il Vaticano, in vista del Concordato del ’29, cui contribuisce con la sua diplomazia. Egli ricopre la carica fino al 1935, anno in cui, alla vigilia del conflitto con l’Etiopia, è nominato ministro dell’Educazione Nazionale (24 gennaio 1935-15 novembre 1936), nella cui veste si adopera per perfezionare la già eccellente organizzazione della scuola e dell’università, dei Gruppi Universitari Fascisti (GUF), dei Littoriali e delle manifestazioni studentesche. 

Tra le attività parlamentari di cui De Vecchi si occupa in questo periodo, da segnalare altresì il lavoro per la determinazione degli enti che propongono i candidati alle elezioni politiche (1932), nonché quello per il perfezionamento del sistema corporativo (1934).



All’attività politica unisce quella culturale, divenendo Presidente dell'Istituto per la Storia del Risorgimento (agosto 1933) e Socio nazionale dell'Accademia dei Lincei (maggio 1935), nonché quella commerciale, assumendo la Presidenza della Cassa di Risparmio di Torino.

Alla fine del 1936 diviene Governatore del Dodecanneso Italiano, carica che manterrà fino al 1940. La sua capacità organizzativa eccelle anche in questo territorio. Durante il suo mandato si occupa in particolare della promozione della cultura Italiana nelle isole dell’Egeo. Ciò invero felicemente si coniuga al substrato Greco in una riscoperta della Greco-Romanità che avrebbe potuto dare in prospettiva sempre maggiori risultati politici e culturali. 

Da ricordare inoltre gli imponenti lavori pubblici, tra cui non si può non ricordare il completo restauro del Castello di Rodi, dove anche oggi è visibile una bellissima targa celebrativa. 

Con tutta probabilità, senza il disastro bellico, il Dodecanneso sarebbe presto stato integrato nel territorio del Regno come unica Provincia o suddiviso in più Province (ad esempio si sarebbero potute proporre Rodi, RD e Coo nel Dodecanneso, CD).



Dalla seconda guerra mondiale al dopoguerra

Rimasto defilato dalle vicende che portarono alla Seconda Guerra Mondiale, allo scoppio del conflitto diventa Membro della Commissione delle Forze Armate (17 aprile 1939-5 agosto 1943) e nel 1940 organizza l’esercito nel suo Dodecanneso, divenendo Generale di Brigata. Resosi tuttavia conto del pessimo andamento del conflitto e del disastro che si stava profilando, decide di votare a favore dell’ordine del giorno Grandi del 25 luglio 1943.



Nominato Generale di Divisione, il nuovo governo Badoglio gli assegna il comando della divisione costiera toscana, che De Vecchi insedia a Massa Marittima. Con l’armistizio dell’8 settembre 1943, che egli non intende evidentemente come rovesciamento d’alleanze, si rifiuta di scontrarsi contro i tedeschi. Pertanto autorizza l’ingresso degli stessi nel porto di Piombino. Contravvenendo ai suoi ordini, alcuni soldati ingaggiano invece un duello contro i tedeschi e ne catturano trecento. De Vecchi impone di liberarli e restituisce loro le armi, dichiarando la resa della propria Divisione, convinto che non debba e non possa più sostenere battaglie.

Rientrato in Torino, è preso alla sprovvista dalla condanna a morte del Tribunale di Verona del 1944 e riesce ad evitare l’arresto grazie alla protezione dei salesiani e della Chiesa, che l’aiuta a rifugiarsi dapprima presso i Monasteri dell’Ordine, poi a Roma. Ricercato naturalmente anche dagli antifascisti, con un passaporto paraguagio fornitogli dalla Chiesa si trasferisce in Argentina (1947). 

Decide di rientrare in Italia nel 1949, dapprima a Torino, poi a Roma, dove, logicamente abbattuto per il crollo del suo mondo e ormai con gravissimi problemi di salute, si ritira a vita privata. 

Muore il 23 giugno 1959 nella Capitale all’età di 74 anni e mezzo.


Eredità politica di De Vecchi

L’eredità politica di De Vecchi è fondamentale ed è un vero dramma il fatto che sia stata trascurata da buona parte del mondo politico che si richiama ai valori socialnazionali. L’ineguagliabile importanza di tale eredità sta nella sintesi delle concezioni religiosa, costituzionale e politica della Patria Italiana. Di questa sintesi ci sarebbe urgente bisogno proprio ai nostri giorni, che si caratterizzano per assurde divisioni che fanno il gioco delle potentissime cricche di potere che continuano a imporre disvalori alle masse. Solo recuperando una concezione unitaria Cattolica, Monarchica, Sociale e Nazionale quale fu quella di De Vecchi si potrà impedire la decadenza non solo Italiana, ma mondiale.


Vittorio VETRANO


- Bibliografia -

AA.VV. (1938), Balbo, Italo in Enciclopedia Italiana - I Appendice

Alpozzi A. (2020), Dubat. Gli Arditi somali all’alba dell’Impero fascista, Eclettica Ed., Massa

De Felice R. (1965-1997), Mussolini e il Fascismo (8 volumi), Einaudi, Torino

Gotta S. (1923), Cesare De Vecchi, Milano

Grandi D. (1985), Il mio paese: ricordi autobiografici, a cura di De Felice R., Il Mulino, Bologna

Meregazzi R. (1928), Siek-Siek in Somalia, Bemporad, Firenze

Orano P. (1928), Cesare Maria De Vecchi, Roma