Un ricordo del poeta Giuseppe Giusti (Monsummano Terme, 13 maggio 1809 – Firenze, 31 marzo 1850).
Nato il 12 maggio del 1809, a Monsummano, vicino Pistoia. Le cronache riportano la sua turbolenta vita di studente di giurisprudenza all'Università di Pisa dove s'appassiona alla lingua toscana, di cui darà prova con la "Raccolta dei proverbi toscani", curiosando negli ambienti popolari per trarre spunti al suo scrivere. A Firenze Giusti, per dieci anni, dal 1834 al 1844, si dedica alla professione forense, Pubblica nel 1845 , una raccolta dal titolo "Versi".
Egli si specializza nella satira di costume che, rende protagonista dei suoi "Scherzi". Fa uso del paradosso e canzonatura.
Il desiderio di oltrepassare i confini toscani (dopo essere stato assalito e morso da un gatto, che lui giudicherà idrofobo, iniziando a soffrire di disturbi epatici e intestinali), lo condurrà a Milano, ospite di Alessandro Manzoni, con cui aveva intessuto già da tempo un rapporto epistolare.
La frequentazione del circolo manzoniano e la partecipazione al dibattito sull'unificazione della lingua, lo inducono a legarsi politicamente ai moderati. La pubblicazione delle sue poesie satiriche, lo rendono popolare e nel 1847 inizia a scrivere versi con tematiche politiche: ironizza sulla dominazione straniera, si scaglia contro il clero e contro i corruttori come Leopoldo II. Molti dei suoi versi sono oggetto di censura, così come di stampa abusiva da parte dei librai, proprio a causa del loro successo popolare ; versi, caratterizzati dall’associazione tra la satira e l’invettiva, efficacemente espressa usando, tuttavia, un linguaggio, la parlata toscana, spesso oscuro e, comunque, di non facile impatto.
Su uno dei suoi “scherzi”, Sant’Ambrogio, considerato dagli storici della letteratura uno dei suoi capolavori, prende spunto da un fatto realmente accaduto: mentre era a Milano, fece visita alla basilica di Sant’Ambrogio, imbattendosi al suo interno in un gruppo di soldati austriaci che a quei tempi occupavano il Lombardo-Veneto. Ad un primo sentimento di repulsione nei confronti dell’oppressore, sostituì una sorta di compartecipazione alla sorte di quei soldati che, lontani dalla patria, sono ridotti, forse loro malgrado, a strumento di sopraffazione. Il loro canto suscitò nel poeta una commozione inaspettata da cui scaturì una riflessione profonda sulla sorte dei popoli che spesso sono soltanto delle marionette nelle mani di chi detiene il potere.
Lavorò a lungo per giungere ad una poesia dal tono narrativo, con uno stile colorito e colloquiale, fondendo l’emozione lirica con l’occasione comica. La sua grandezza, per la quale ne ho fatto il protagonista di un mio breve ed incompleto ricordo, dimora nei contenuti delle sue opere, nelle quali il poeta vuole esprimere un giudizio severo nei confronti dell’oppressore ma, nello stesso tempo, esterna, attraverso il registro comico, un atteggiamento pietoso e tollerante verso chi, in casa altrui la fa da padrone.
Morì quarantenne, nel 1850 nel palazzo dell'amico carissimo il marchese Gino Capponi.
Ebbe parole di scherno e di disprezzo per tutti coloro che, pur di ottenere qualche vantaggio personale, chinavano il capo dinanzi al potente di turno. La sua poesia può definirsi senza tempo e seppur contenga continui riferimenti storici alla sua epoca, resta un pungolo verso tutte quelle debolezze umane che puntualmente si manifestano in ogni periodo storico e in tutti i regimi.
Un vero e proprio GRILLO PARLANTE senza tempo.
Gianluca RIGUZZI